Evoluzione verso il bipartitismo

In pochi giorni il processo di riassestamento del sistema politico e di semplificazione e ricomposizione dell’offerta elettorale messo in moto dalla solitaria e innovativa decisione di Veltroni di «correre da solo», cui ha simmetricamente fatto seguito a destra la fusione di Forza Italia e di An nel nuovo Popolo della libertà, ha fatto progressi che sono sotto gli occhi di tutti. Inizialmente sembrava che la svolta verso un sistema sostanzialmente bipolare, che riducesse la frammentazione e stroncasse il potere di veto dei piccoli partiti, fosse ancor più netta e drastica. Poi il coraggioso radicalismo di Veltroni che, pur di ridurre la conflittualità permanente e le contraddizioni programmatiche della precedente coalizione di governo, aveva rinunciato al 7-8% dei voti, decidendo per la «separazione consensuale» dall’ex sinistra radicale dell’Unione, si è temperato per calcolo di convenienza elettorale e, sottoscrivendo l’accordo con una formazione politica incline al giustizialismo come quella di Di Pietro, ha causato un lieve appannamento della limpidità del profilo del Pd.


Sull’altro fronte, la ricomposizione dello schieramento di centrodestra, persi per strada Storace e Mastella, e non potendo contare né sulla Rosa bianca di Tabacci e Baccini, né sull’apparentamento con la lista anti-aborto di Giuliano Ferrara, ha consumato con l’Udc di Casini uno strappo non certo indolore da molti punti di vista (dei voti, della collocazione politica complessiva, scivolata a destra, e del rapporto con l’episcopato).


La mossa in qualche modo obbligata ma pur sempre temeraria di Casini di andare da solo - stante l’esplicita volontà di Berlusconi di punire l’antico alleato, reo di eccessiva riottosità, escludendone il marchio dalla lista del Pdl - riapre i giochi elettorali in molte regioni e funge comunque da elemento frenatore, con il suo appello al centro e in particolare ai cattolici, rispetto a quel tendenziale bipartitismo che l’accordo Berlusconi-Veltroni, pur in assenza di interventi sulla legge elettorale, aveva delineato.


Vero è che la facilità e la rapidità con cui consolidate alleanze vengono smontate o rimontate, o rimangono allo stadio di variabili non precisate, dipende chiaramente dalla circostanza che i due grandi partiti sono ancora in uno stato magmatico e non del tutto definito.


Con un’asimmetria: più chiaro nella sua identità e nel suo radicamento è il Pd, frutto di una lunga incubazione precedente e poi dei due congressi di scioglimento di Ds e Margherita, più indefinito nella reale consistenza e nelle strategie future il Popolo della libertà.


Si può paradossalmente osservare che anche le sponde europee dei due schieramenti presentano incognite e punti interrogativi: da un lato per la non appartenenza di An al Ppe e per la rottura con l’Udc, del cui aiuto il nuovo Pdl avrebbe avuto bisogno per entrare nel Ppe, dall’altro per la prevedibile esclusione dei socialisti di Boselli, che fanno invece parte dell’Internazionale socialista, dalla lista del Partito democratico, che pure dice di collegarsi all’Internazionale socialista stessa.


I primi passi della campagna elettorale appena iniziata registrano innegabilmente l’abilità di un Walter Veltroni, che pur ancora distaccato non poco dallo schieramento avversario, riesce a dettare l’agenda dei temi e dei contenuti, mentre il processo di convergenza avviato a destra tra An e Forza Italia sconta pesantemente le polemiche conseguenti alla perdita della componente moderata e alla conseguente radicalizzazione a destra del Pdl: un argomento, questo, che ritornerà senza alcun dubbio nel corso di tutta la campagna elettorale.


In sintesi, l’evoluzione verso il bipartitismo si è certamente solo avviata, ma già oggi il sistema politico è di certo più razionalizzato e meno frammentato rispetto al «multipartitismo estremo» della legislatura appena conclusa.


La ricerca di nuovi e maggiori consensi e la presenza di un ingombrante competitore come l’Arcobaleno alla sua sinistra, spingono oggettivamente il Pd verso il centro dello spazio politico, centro al momento presidiato da una galassia «debole» di formazioni (l’Udc, la Rosa bianca e l’Udeur) tra loro non collegate; mentre per la lista Forza Italia-Alleanza Nazionale la rottura con l’Udc innesca come si è detto una radicalizzazione a destra, che rende molto più difficile al Pdl presentarsi come il partito dei moderati.


Una situazione insomma in piena evoluzione, che una campagna elettorale serrata e mediaticamente personalizzata - anche se auspicabilmente meno incendiaria che in passato - può ulteriormente movimentare.

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