«Felice Maniero non ha confessato tutti i delitti»

Silvano Maritan ha scontato 33 anni di carcere, soggiorna in una casa-famiglia a Feltre e vuole tornare a San Donà

SAN DONA DI PIAVE. Il romanzo criminale della Mala della Riviera del Brenta si arricchisce di una nuova puntata e non è una fiction di Elio Germano: ad alzare il velo su uno dei «misteri» più clamorosi delle tragiche imprese degli anni Ottanta, passate tutte in giudicato nelle aule del tribunale, è il numero 2 della banda: Silvano Maritan. Il dubbio che solleva è: quanti delitti ha confessato Felice Maniero e quanti ne ha taciuti?

Maritan ieri è salito in treno, biglietto andata e ritorno per San Donà di Piave, la sua città natale dove oggi vive in esilio. A 69 anni, con i capelli lunghi stile hippy e i rayban, il “Presidente” del famigerato e dissolto gruppo criminale, non ha ancora terminato di pagare il suo conto con la giustizia e “soggiorna” in una casa famiglia a Feltre. Ancora un paio di mesi e sarà libero a tutti gli effetti, anche se la vita non sarà facile fuori dalle sbarre. Ha già un progetto in tasca: «Scriverò un libro sulla mia vita, su Maniero e sui sette omicidi che ancora non ha confessato». L’alone che circonda il personaggio Silvano Maritan, a San Donà, porta lontano, al mito criminale del boss che sarebbe riuscito a bloccare l’infiltrazione della criminalità straniera nel Basso Piave. In realtà la sua fedina penale non lascia spazio ad equivoci: era lui il braccio armato di Felice Maniero, che poi ha incastrato tutta la banda con il suo pentimento e la collaborazione con la giustizia. «Faccia d’angelo» oggi fa l’imprenditore, vende impianti di depurazione dell’acqua per i rubinetti e i suoi affari traballano, ma sono finiti su Report della Gabanelli.Lui ha dato una svolta alla sua vita, Maritan e gli duecento ragazzi addestrati all’uso della pistola, alle rapine e allo spaccio della droga, hanno la vita rovinata dal carcere e dalla miseria. Lutti, dolore o odio sociale, come tutte le storie criminali. Perché il Veneto ha sconfitto la mala, mentre la Campania, la Puglia, la Sicilia e la Calabria non hanno saputo ribellarsi alle mafie, ora vere holding internazionali.

Maritan oggi è un pensionato che ha trascorso 33 anni in carcere, la metà della sua vita: «Ora vorrei tornare a vivere a San Donà». In carcere era stato dal 1991 al 2007. Poi era uscito per breve tempo, ma alcune intercettazioni lo avevano incastrato e così era stato subito rinchiuso. E poi ci sono anche gli anni della sua gioventù, quando alle soglie dei 30 era già il capo indiscusso della mala locale. Vorrebbe tornare più precisamente a Chiesanuova di San Donà in cui abita il fratello Lino presso il quale vorrebbe risiedere, anche per limitare un po’ le spese e cercare di ripartire. Qui vive anche la figlia cui è molto legato. In forma, per nulla appesantito, abiti sportivi, con capelli lunghi e ribelli e uno sgargiante maglioncino arancione.

«Nella casa famiglia devo pagare 1400 euro al mese perché l'Asl non sostiene la spesa in quanto ho superato l'età prevista. Mi devo anche pagare tutte le medicine per le cure, non avendo la residenza. Ho chiesto di tornare in carcere a questo punto, ma non posso neppure far questo. Sono l'unico in Italia a non aver avuto nulla dal magistrato di sorveglianza, non ho goduto dei benefici di legge quando ne ho visti concedere a mafiosi, camorristi e pericolosi omicidi. E pensare che per omicidio, nel mio passato, è stato trovato solo un «concorso morale». Vorrei tornare a casa, nel mio paese, dove potrei vivere e affrontare meglio la vita, ma non mi viene data la residenza. Il carcere dovrebbe dare a un essere umano la possibilità di riabilitarsi. Questa possibilità non mi è stata data: io finirò di pagare il mio conto e non devo ringraziare nessuno».

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