Uccise la compagna lanciandola dal cavalcavia dell’A4, la procura: delitto premeditato
La procura di Padova ha chiuso l’inchiesta per il femminicidio di Giada Zanola, morta la notte del 29 maggio 2024 dopo un volo di dieci metri dal cavalcavia di Vigonza. In carcere per omicidio volontario aggravato dalla relazione affettiva e dalla premeditazione c’è l’ex compagno Andrea Favero

E' stato un omicidio volontario e, per di più, premeditato. La procura di Padova ha chiuso l’inchiesta per l’omicidio di Giada Zanola, la 34enne di origine bresciana, caduta dal cavalcavia dell’A4 di Vigonza la notte del 29 maggio scorso a poche centinaia di metri dalla sua abitazione a Vigonza in via Prati 8 dove la coppia viveva.
Anzi, lanciata giù dal cavalcavia – è l’ipotesi della procura – dal compagno Andrea Favero 39enne, in carcere da quel tragico giorno con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla relazione affettiva.

Dopo un volo di una decina di metri, la donna era stata travolta da alcuni Tir ed erano stati proprio i conducenti dei mezzi a segnalare alla Polstrada la presenza di qualche non meglio identificato “ostacolo” sul manto stradale. All’alba, al loro arrivo, gli agenti si erano resi conto che lungo l’autostrada c’erano i resti di un corpo umano straziato, alla cui identificazione si è arrivati in breve tempo perché è stata recuperata una borsetta con dei documenti.
Nel frattempo quella stessa mattina di buon’ora Favero aveva inviato un messaggio via whatsapp al cellulare di Giada per depistare l’eventuale indagine: «Sei andata a lavoro? Non ci hai nemmeno salutato».
Poi la parziale ammissione nella caserma della polizia in serata ma senza l’assistenza di un legale (il che ha reso quelle dichiarazioni prive di alcun valore): «L’ho afferrata alle ginocchia e spinta giù dal cavalcavia».
Secondo la procura Favero avrebbe stordito la compagna in casa, prima di caricarla in macchina e lanciarla dal cavalcavia viva e del tutto incosciente, dopo averla posizionata sul gradone che scorre lungo il parapetto del viadotto (alto 80 centimetri da terra). Non si escludono violenze fisiche subite da Giada prima del delitto, violenze che il suo corpo non potrà mai raccontare perché è stato travolto e straziato da camion e auto in corsa.
Il filmato della videosorveglianza privata, recuperato dalla telecamera installata in via Prati 55, mostra una macchina scura simile a quella di Giada (una Ford C Max) che, superato il cavalcavia, fa un’inversione a “U”: quella manovra potrebbe essere stata dettata dall’idea di liberarsi del corpo gettando la convivente sull’autostrada anziché disfarsene in qualche altro modo. La macchina risale il viadotto dove, in cima, sosta all’incirca due minuti. Quei minuti risulterebbero un tempo compatibile con l’azione di trascinare un corpo fuori dall’abitacolo, caricarselo in spalla per salire sul gradone del parapetto e lanciarlo nel vuoto. La macchina ha subito ripreso la corsa per imboccare il cancello del civico 8 di via Prati, l’abitazione della coppia.
Il referto dell’esame tossicologico ha confermato la presenza nel corpo di Giada di uno psicofarmaco appartenente alla famiglia delle benzodiazepine, anche se nessun medico le aveva prescritto quel medicinale con effetto miorilassante oltre a indurre sonnolenza e (in quantità elevate) stordimento. Un tipo di farmaco che, invece, Andrea Favero si era fatto prescrivere dal suo medico di base, lamentando una grave insonnia. Giada ad alcune amiche aveva espresso il timore che Andrea le somministrasse qualche sostanza perché si sentiva strana.
Da tempo la relazione tra i due era in crisi e la 34enne aveva già spiegato al compagno la sua decisione di lasciarlo e di rifarsi una vita lontano da lui. Dalla loro relazione era nato un bambino.
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