Fojadelli: «Maniero fa bene a temere per la sua vita»

Il magistrato alla trasmissione di Antenna 3 sulle rivelazioni di Faccia d’Angelo. «Il patrimonio sequestrato? Una minima parte di quello che ha messo da parte»

TREVISO. «Non mi sento di poter escludere la possibilità di una vendetta nei confronti di Felice Maniero. La sua resa allo Stato nasceva dal suo progressivo indebolimento, per effetto della lunga latitanza. Pandolfo gli ha giurato vendetta: non sottovalutiamo mai questa memoria di ferro dei criminali».

Le rapine, le fughe, i processi: chi è Felice Maniero


Così Antonio Fojadelli, ex procuratore della repubblica, intervenuto ieri sera a «Ring», trasmissione di Antenna 3 interamente dedicata alla nostra intervista a Felice Maniero, presente in studio il condirettore Paolo Cagnan.

Michela Pavesi e Antonio Fojadelli
Michela Pavesi e Antonio Fojadelli


Fojadelli è stato il giudice della resa di Maniero, della difficile e contestata gestione di Faccia d’Angelo come collaboratore di giustizia.

«Lo Stato - ammette oggi l’ex magistrato - allora agì cinicamente, attraverso la legislazione premiale. E’ stato etico? Potrei dire di no. Ma se mi si chiedesse se è stato utile, risponderei sì, senza alcuna ombra di dubbio. Promettere grandissimi sconti di pena è stata una soluzione vincente, purché non si parli di “pentimento” che riguarda la coscienza dell’uomo».

Ma all’epoca lo Stato barattò il “pentimento” di Faccia d’Angelo con il salvacondotto per i familiari di Maniero (in primis la madre) e le blande indagini per cercare di recuperare il suo patrimonio?

Felice Maniero da bandito a imprenditore: "Ecco le mie tre vite"


«Non c’è stata alcuna trattativa, termine che fa pensare che lo Stato avesse margini di discrezionalità per promettere o concedere. Margini non ce ne sono mai stati. Codice alla mano, i vantaggi sono chiari e non ne esistono altri, neppure nei sottintesi tipo “non toccheremo i soldi” perché avremmo commesso noi un illecito. Volevamo che lui dicesse tutto”.

Ma il tesoretto, alla fine, era lì vicino, nella disponibilità dei suoi parenti stretti...

«Vero, ma all’epoca non c’erano le possibilità investigative che esistono oggi».

E il tesoretto di cui oggi Maniero reclama la restituzione? E’ davvero tutto lì?

«Nessuno si è fatto illusione sul fatto che Maniero ci avesse raccontato tutta la verità e fatto trovare tutti i suoi soldi. Sicuramente il patrimonio era più ampio di quello che appariva e appare. Bisogna essere onesti su questo punto, e indubbiamente lui è sempre stato molto abile a nascondere il patrimonio accumulato».

Sulla persona: «Maniero è un narciso, ha sempre provato un grande compiacimento nell’essere e nell’apparire un leader. Forse, è anche rimasto insoddisfatto per non essere riuscito ad essere qualcos’altro. Se avesse scelto una strada diversa, gli sarebbe piaciuto di più essere dalla nostra parte. Un investigatore. Questa è l’impressione che ho ricavato dai nostri incontri. Una sorta di vago rimpianto».

Sulle faide interne: «E’ quella che abbiamo definito intimidazione interna. Un mezzo per dire che dalla banda non ci si può tirare fuori, per soggiogarne i membri. Quasi tutti i delitti sono stati così».

In studio anche Michela Pavesi, zia di Cristina morta innocente nell’assalto al treno del dicembre 1990.

«Le sue parole di pentimento ci fanno male, anche perché non ha mai fatto niente. In famiglia, per decenni, abbiamo evitato di parlarne».

©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Argomenti:mala del brenta

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova