Frode fiscale, la “mente” nel Veronese

VERONA. Diciassette persone arrestate, un sequestro preventivo di beni per 12 milioni di euro, con 118 mezzi sequestrati e 3 società sottoposte ad amministrazione giudiziaria. Sono i numeri dell’Operazione Ciclope che tra Verona e Crotone ha impegnato la Guardia di Finanza nel smantellare un’associazione operante nel settore delle frodi fiscali e del riciclaggio.
A capo dell’organizzazione un volto noto agli investigatori antimafia del Veneto l’imprenditore di origine cutrese Antonio Aversa De Fazio, da anni residente a Belfiore, in provincia di Verona. Oltre ad Aversa De Fazio è finito in carcere Alfredo Minervino, 56 anni, precedenti per furto e falsità ideologica, ritenuto il luogotenente del capo e “promotore e organizzatore, con compiti di reclutamento dei sodali”. Con lui i cutresi Raffaele Tucci, di 41 anni, Rocco Arena, 47 anni e Vincenzo Migale, 41. Agli arresti domiciliari accusati del ruolo di riciclatori degli importi derivanti dalle false fatture: Domenico Arena, 49 anni, fratello di Rocco, Ferdinando Menzà, 60 anni, Franco Muto Caterisano, 40 anni, Pasquale Macrì 48 anni, Francesco Maggiore 49 anni. Con l’accusa di corruzione sono da ieri ai domiciliari i dipendenti comunali del comune di Cutro, Giovanni Rovere 64 anni, e Domenico Renato, 65 anni. Le fatture emesse per fatture inesistenti erano invece emesse da società riconducibili a Giovanni Pizzimenti 30 anni, Salvatore Nicastro 47 anni, Giuseppe Pizzimenti 40 anni – già detenuto per l’operazione antimafia «Stige» –, tutti di Isola Capo Rizzuto, e Giuseppe Martino, 40 anni, di Cutro.
È stata la Guardia di Finanza di Verona a segnalare le operazioni sospette ai colleghi crotonesi che hanno avviato le indagini nel marzo del 2015. Il meccanismo svelato dagli inquirenti era rodato: l’associazione attraverso l’emissione e l’utilizzo di false fatture realizzava risparmi d’imposta calcolati dagli inquirenti in 5. 599. 591, 48 euro sottratti al fisco fra evasione dell’Ires, Iva ed Irap. Malgrado si fosse trasferito da diversi anni nel veronese dove aveva creato una fiorente attività imprenditoriale, Aversa De Fazio, secondo la tesi degli inquirenti, manteneva solidi rapporti con il territorio d’origini in particolare attraverso Alfredo Minervino il quale, su indicazione di Aversa De Fazio, predisponeva false fatture nei confronti delle società di De Fazio al fine di aumentare fittiziamente i costi e creare un indebito credito iva. Minervino avrebbe poi creato una serie di società «cartiere», intestate a se stesso o a soggetti compiacenti appositamente reclutati, per emettere fatture per operazioni inesistenti a favore delle società riconducibili ad Aversa De Fazio. Una volta che le società ricevevano i pagamenti per le false fatture, il denaro veniva fatto sparire mediante prelevamenti per cassa, bonifici e/o assegni da parte di soggetti riciclatori su disposizione di Minervino. «A Reggio Emilia, diciamo, il guadagno maggiore che arrivasse alla’ndrangheta era la fatturazione». È la dichiarazione del febbraio 2016 del collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio nel corso del processo contro le cosche cutresi insediate in Emilia Romagna. Non è quindi una novità che la principale attività dei soggetti ’ndranghetisti in questi ultimi anni, in Emilia come in Veneto, sia quella legata alle false fatturazioni.
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