I falchi leghisti sfidano Napolitano
Dalla radio al web: «La Padania non esiste? Se cerca lo scontro, lo avrà»

Così la prima pagina della «Padania» replica alle affermazioni di Napolitano
VENEZIA.
La reazione del popolo leghista alle parole del Capo dello Stato rimbalza sulle onde di Radio Padania e assume, col passare delle ore, i toni del dissenso, dello sdegno, della contumelia. «Napolitano dice il popolo padano non esiste? Una volta negava anche l'esistenza delle foibe, si vede che è rimasto comunista»; «Se non gli piace il Nord se ne vada nella sua Napoli, con l'immondizia e la camorra»; «Ah, non esistiamo? E chi paga il suo stipendio? Cappuccetto rosso?». C'è chi abbozza un ragionamento storico - «Le nazioni precedono gli Stati, i celti veneti erano un popolo già ai tempi di Roma» - e chi si sente discriminato: «Napolitano dovrebbe essere il presidente di tutti non solo di Roma e del Sud». Tant'è. L'emittente ufficiale della Lega si sforza di filtrare le telefonate ma qualche epiteto («Cariatide sovietica») sfugge alla censura, suscitando il disappunto - apparente, almeno - degli speaker che invitano gli ascoltatori a dire la loro senza ricorrere a parolacce. Da Varese a Vicenza, da Valdobbiadene ad Abbiategrasso: netta la prevalenza di accenti lombardo-veneti, la stessa echeggiata il 18 settembre a Venezia quando il grido «Secessione, secessione» ha scandito i comizi di Bossi e dei suoi proconsoli in Riva degli Schiavoni. Dall'etere al web, la musica non cambia. Perché su Facebook c'è il sito (non ufficiale) di Radio Padania Libera: «Qui si è bannati se si nega l'esistenza della Padania», è l'avviso ai naviganti, e la minaccia di esclusione pare eccessiva visto il tenore dei post: «Uno stato padano sarebbe il più ricco del pianeta, una locomotiva per l'Europa e per il mondo, se Napolitano cerca lo scontro, che scontro sia», è il leit-motiv. Ripreso, in ordine sparso, da qualche falco leghista, soprattutto trevigiano: dal sindaco di Vittorio Veneto e segretario provinciale Antonio Da Re («Ci ha sbeffeggiati, una caduta di stile di marca sovietica») al primo cittadino e deputato di Castelfranco Luciano Dussin («Un messaggio inquietante e comunista»). Sfogatoio, si dirà. E in effetti all'esuberanza dei militanti fa riscontro la prudenza di gran parte dei dirigenti e degli amministratori che avvertono l'insofferenza dell'elettorato (che rimprovera eccessiva acquiescenza a Berlusconi e appare deluso dall'operato del Governo) ma temono ancor più gli effetti di una crisi al buio. Certo, a fronte dell'empasse è stato proprio il Senatùr a evocare il referendum secessionista («Abbiamo portato a casa il federalismo ma non possiamo fermarci a metà strada, noi vogliamo la libertà»), tuttavia gli esponenti di primo piano del Carroccio sembrano allergici allo strappo. Se il sindaco di Verona Flavio Tosi, solitamente loquace, si defila («Questa polemica non mi appassiona»), il governatore del Veneto Luca Zaia coltiva un rapporto di conoscenza e stima con l'inquilino del Quirinale («La mia presidenza si ispirerà allo stile Napolitano», dichiarò all'atto di insediarsi), circostanza che giustifica qualche imbarazzo: «Secessione? La Lega ha fatto del federalismo il senso della sua azione politica», commenta «il federalismo è un movimento centripeto non centrifugo e Napolitano l'ha definito una necessità per il Paese». Calderoli rivendica il "diritto insopprimibile all'autodeterminazione" dei padani... «Cito Einaudi, un padre della Costituzione che fu presidente della Repubblica: ha detto che tutte le comunità hanno diritto al massimo dell'autonomia possibile». Ipse dixit, già.
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