I flussi delle Europee in Veneto e il record sbriciolato dalla Lega

Il resto mancia. All’incasso elettorale di primavera, la Lega porta via metà del piatto, lasciando che i concorrenti si spartiscano le briciole: solo il Pd riesce a portare a casa un risultato a doppia cifra, comunque tre punti sotto la media nazionale; gli altri devono accontentarsi delle elemosine, in particolare nove liste che si ritrovano con lo zero virgola qualcosa ciascuna.
Se si tolgono i cinque partiti che sono riusciti a staccare comunque un biglietto per Bruxelles, i restanti dodici tutti assieme stanno sotto il 10 per cento. Anche nelle amministrative, in attesa dell’esito dei ballottaggi, il Carroccio asfalta tutti o quasi: diventa il primo partito nella superstite roccaforte rosso (stinto) del Veneziano, ed espugna da subito due centri di primo piano come Bassano e Vittorio Veneto. Il centrosinistra riesce a resistere solo in alcune piazze, da Preganziol a Rubano, oltre che in una serie di centri minori.
Dopo il pluridecennale biancofiore democristiano e il ventennale verdazzurro del forzaleghismo, dunque, il Veneto torna a un monocolore che sarebbe tuttavia improprio definire verde: semmai la nota dominante si potrebbe chiamare tinta camaleonte, considerando la riconversione della fu-Lega Nord in partito nazionale, di livrea cangiante come il guardaroba che il suo leader Salvini usa cambiare a seconda dell’aria che tira. In un Carroccio che per la prima volta diventa l’inquilino dominante anche sotto il Po e fino a capo Lilibeo (emblematico il 45,9 per cento di Lampedusa), la filiale veneta si aggiudica saldamente il posto di azionista di riferimento, con il suo 49,9 per cento: sei punti e mezzo in più dell’ala lombarda, che pure presidia da sempre (e senza sconti) la stanza dei bottoni.
Il gradino più alto del podio delle province più leghiste d’Italia spetta per giunta a una veneta, Treviso, con il suo 53,6, che supera sia pure di due soli decimali la lombarda Sondrio; e anche nelle posizioni di rincalzo, Vicenza viene terza col 52,7, davanti a Bergamo con il 51,1.
Ma poiché nella politica italiana uno più uno fa solo raramente due, c’è da ritenere che, come rilevava ieri il direttore di questa testata Paolo Possamai, al ramo veneto del Carroccio toccherà la stessa sorte di quello della vecchia Dc regionale con piazza del Gesù: contare molto meno del peso numerico.
Farebbero bene a rifletterci sopra gli imprenditori veneti, il cui concorso nella delega elettorale alla Lega è stato con tutta evidenza significativo, e che un minuto dopo lo spoglio hanno battuto i pugni sul tavolo: al di là delle dichiarazioni di facciata e degli otto giorni che qualche leghista doc ha già dato ai Cinque Stelle, sarà tutt’altro che facile per il Carroccio regionale far passare quelle richieste con un Salvini che d’ora in avanti dovrà fare conti pesanti col centro-sud: dove, giusto per fare un numero, l’incremento percentuale del suo partito è stato il più alto (più 19,7, contro il 16,3 del Nordest).
Nel frattempo, l’ex Liga veneta ha già prenotato con largo anticipo un successo tranquillo nelle elezioni regionali in agenda l’anno prossimo: domenica ha raccolto mezzo milione di voti in più rispetto alla somma conquistata nel 2015 assieme alla Lista Zaia, e 300mila in più rispetto alle politiche dello scorso anno.
È magra in particolare per Forza Italia, che dimezza i voti sulle politiche 2018 e la percentuale sulle regionali 2015, subendo il sorpasso sia pure per neanche 20mila voti da Fratelli d’Italia.
Insieme, i due non arrivano al 14 per cento. È desolante soprattutto lo sfacelo dell’ex colosso forzista, che paga peraltro un mix di fattori di origine non certo recente: gestione mediocre, protagonismi immotivati, oligarchia ottusa, scelta demenziale di anteporre la fedeltà al merito. Tracollano i Cinque Stelle, in Veneto più che altrove: dimezzano la percentuale sulle precedenti europee, e franano di quindici punti sulle politiche 2018, cedendo rispettivamente 250mila e ben 480mila voti. Poco contavano prima, ancora meno adesso.
Non ha molto di che consolarsi neppure il Pd, che malgrado il recupero percentuale conferma la sua genetica debolezza in Veneto: cresce di due punti sulle politiche 2018, ma perde quasi 10mila voti. Farebbe bene ad attrezzarsi in vista delle prossime regionali non certo per provare a vincere (figuriamoci…) ma per poter rappresentare un’opposizione significativa; cosa che non gli è mai riuscita in passato.
Questo comporterebbe un fronte comune con una serie di realtà civiche rilevanti del territorio, a cominciare da Padova città; e un’intesa organica con le forze di sinistra. Pia illusione peraltro, quest’ultima: anche stavolta, basti citare il caso di Monselice, dove il centrosinistra è andato in ordine sparso; incassando il risultato di spianare la strada al ballottaggio a due realtà del centrodestra. —
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