I veneti e le mafie: noi che ci credevamo razzialmente superiori

Ferdinando Camon: se le diamo tempo, la camorra ci mangia vivi. La mala pianta va bruciata subito, appena cavata
Trees are reflected in a puddle, b/w
Trees are reflected in a puddle, b/w

Mezzo centinaio di camorristi arrestati qui nel Nord Est, 11 milioni di euro sequestrati, un agente coinvolto per favori alla delinquenza…:  le notizie girano su tutti i giornali e ci coprono di vergogna.

Eravamo orgogliosi di essere al di sopra della mafia e della camorra, nel senso che mafia e camorra stavano più in giù: ora scopriamo che ne siamo sommersi, la mafia, la camorra, l’usura, il pizzo sono in casa nostra, nei nostri paesi, nei nostri municipi.

Ci credevamo razzialmente superiori: mai un usuraio avrebbe fatto affari tra i nostri imprenditori, noi abbiamo le nostre serie banchette per i prestiti, bastano e avanzano.

Ora vengono fuori casi di una usura che tocca interessi vertiginosi. Siamo spaventati. Pensavamo che il voto di scambio fosse un problema del Sud, anzi dell’estremo Sud. Ora arrestano per voto di scambio un sindaco nel suo municipio in una ridente cittadina balneare sull’Adriatico, che ha tutto per non farsi corrompere: è lo sbocco vacanziero di tante città ricche del Veneto, ha una clientela fissa, perfino tedesca. Corruzione anche lì.

Per ora, la camorra si sta impiantando. Per fortuna, la reazione di stampa e pubblico è violentissima. Perché, se le diamo tempo, la camorra ci mangia vivi.

Non è vero che la camorra e la mafia sono arrivate in un terreno vergine, la verità è che la malavita e il crimine qui c’erano anche prima. Solo che prima si chiamavano Mala del Brenta.

La Mala del Brenta era una criminalità organizzata in banda, capeggiata da uno schizoide, audace, spietato, cinico e bello. Un giorno fece uccidere alcuni dei suoi, dei quali non si fidava, e subito dopo, in aperta campagna, si fece servire pesce fritto e vino bianco. Fresco, perché era estate.

Noi non eravamo in grado di distinguere cosa è mafia, cosa camorra e cosa ‘ndrangheta. Adesso ci tocca imparare. Perché in casa le abbiamo tutt’e tre.

Il sindaco di Eraclea appena arrestato, se le accuse reggeranno, aveva capito una cosa importante: ormai qui, con la morte delle grandi ideologie e dei partitoni, la battaglia elettorale si combatte fra partitini autoctoni, si vince o si perde per poche manciate di voti, è rischioso tentare di conquistarli con i programmi, è più sicuro comprarli. È una scoperta lapalissiana.

Se uno trucca le elezioni, non le trucca solo per sé, ma per il suo gruppo: quello che poi sarà la giunta. Se le cose stanno così, è esattamente come avviene dove la mafia impera. Per fortuna, questa criminosità non è né estesa né antica, si fa in tempo a intervenire, e l’intervento è drastico.

Ma non si salvava nemmeno la polizia. Qui pare ci fosse un poliziotto che faceva il doppio gioco, spifferando agli indagati quel che sentiva in caserma. Non è che qui la malavita facesse affari sporchi un po’ meno sporchi che nel cuore della mafia-camorra-’ndrangheta: no, il cuore del business è sempre lo stesso, usura, rapine, armi, prostituzione. C’è qualche dubbio sulla droga, ritenuta nordicamente troppo immonda, ma comunque si poneva il pizzo sui grandi spacciatori, e ditemi voi che differenza fa. Adesso hanno arrestato questo mezzo centinaio.

È la radice della mala pianta.

Una mala pianta, nel Veneto, va bruciata subito, appena cavata.

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