Il caldo frena il miele di barena: nel 2022 produzione giù del 30%
Afa e siccità bruciano le fioriture estive e danneggiano le api. Coldiretti lancia l’allarme per il Veneto
VENEZIA. Gli effetti del cambiamento climatico sulla vita di tutti i giorni sono reali. Più di quanto si pensi. Un esempio? Il miele di barena. Il caldo incessante di questi ultimi mesi, accompagnato alla siccità, ha bruciato le fioriture estive. Così le api non trovano nutrimento, e sono costrette ad allungare il tragitto in cerca di fiori. Il che si traduce in negativo sulla produzione. Un dato, su tutti: gli apicoltori veneti che monitorano l'andamento della produzione di miele regionale stimano un 30% di calo nella raccolta a causa del clima.
È il dato della Coldiretti, secondo cui a livello nazionale il risultato della produzione annua si attesta sui 13 milioni di chili, tra i più bassi del decennio.
Solo in Veneto, sono quasi 7mila di apicoltori professionisti e hobbisti con un totale di 95mila alveari di cui il 19% sono certificati come biologici. La produzione di alta qualità si presenta con specialità di nicchia come il miele di Barena o di Amorpha Fruticosa.
La mappa italiana del miele stilata da Coldiretti registra cali che vanno dal -15% della Calabria al -60% delle Marche, dal -50% di Lazio, Sardegna, Umbria e Valle d’Aosta al -80% della Basilicata, crolli del 40% in Toscana e Molise e del 35% in Emilia Romagna, Sicilia e Puglia, mentre Veneto e Piemonte, secondo i dati di Coldiretti, hanno perso il 30% della produzione, in Lombardia e Friuli è stato tagliato un quarto (25%) del raccolto, un calo del 20% si registra in Abruzzo e Trentino Alto Adige, mentre Calabria e Campania limitano i danni con una perdita del 15%. In Italia – precisa la Coldiretti – si consuma circa mezzo chilo di miele a testa all’anno, sotto la media europea che è di 600 grammi ma un terzo rispetto alla Germania. L’Italia però vince in biodiversità con più di 60 varietà.
Come detto, a pesare sul crollo della produzione sono le alte temperature e la mancanza di acqua. In particolare, le fioriture anticipate hanno costretto gli apicoltori a partire prima verso le aree montane e a portare razioni di soccorso negli alveari già nei primi giorni di agosto. Il che fa specie, se si considera che dopo lo scoppio della pandemia, l’aria pulita provocata dallo stop alle attività dell’uomo e all’emissione di inquinanti aveva rinvigorito le api. Tanto che, come aveva segnalato sempre Coldiretti, la produzione a metà 2020 era addirittura superiore di un buon 30% sul 2019. Eccoli gli effetti tangibili dell’uomo sulla natura.
E a tal proposito, al fattore climatico, poi, se ne aggiunge un altro. I “pastori delle api” devono fare fronte anche all’esplosione dei costi per le tensioni internazionali generate dalla guerra in Ucraina: dai vasetti di vetro alle etichette, dai cartoni al gasolio. Da qui, la crescita di importazioni dall’estero (+18%) nei primi cinque mesi del 2022 di prodotto magari senza certificazioni.
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