Il caldo li trasforma. Così i funghi chiodini ora uccidono gli alberi

Allarme lanciato dal Gruppo naturalistico montelliano: attaccano le piante ancora vive «Effetto di riscaldamento globale e disboscamento»
NERVESA
 
I chiodini non sono funghi velenosi per gli uomini, ma possono uccidere gli alberi. E il riscaldamento globale rende questo scenario più frequente anche sul Montello. Può essere sintetizzata così l’analisi dell’esperto di micologia nervesano e presidente del Gruppo naturalistico montelliano, Paolo Gasparetto, davanti alla frequenza con cui si vede il fungo, re della tavola autunnale, spuntare sopra i tronchi o addirittura rami di acacie, roveri e altre essenze arboree che crescono nei boschi e nei giardini della zona.
 
«Quando le temperature del terreno sono fresche, il chiodino si comporta da saprofita, cioè si nutre delle sostanze delle piante morte sopra cui cresce. Quando le temperature del suolo sono più alte, invece, va a crescere anche su alberi ancora viventi. In questo caso Il micelio (l’apparato vegetativo di cui il fungo che mangiamo è il frutto ndr) va a vivere tra la corteccia e il legno della pianta e ne succhierà per anni le sostanze nutritive fino a farla morire», spiega Gasparetto.
 
A scaldare un terreno contribuisce molto il disboscamento perché così viene ridotta la vegetazione che filtra i raggi solari, ma il riscaldamento globale ha fatto aumentare in generale le temperature del suolo. Quando i chiodini crescono su di una pianta viva questa ormai è condannata. Sopravvivrà alcuni anni i cui cresceranno ancora i funghi, ma poi morirà.
 
L’unica cosa da fare per salvare gli altri alberi del giardino o dell’appezzamento di bosco è quella di eradicare la pianta colpita e di disinfettare la buca creatasi con prodotti chimici. Il micelio parassita si propaga infatti nel terreno a macchia d’olio dalle piante malate a quelle sane. «Questa operazione ovviamente non è molto semplice da compiere in appezzamenti di terreno sul Montello, viste le caratteristiche della zona», prosegue Gasparetto.
 
Chi si trovasse davanti al problema, può però consolarsi mangiando i frutti del parassita il cui sapore è gradito da molti. Per quanto riguarda la raccolta dei chiodini invece la “produzione” di quest’anno è in linea con le annate precedenti secondo il presidente del Gruppo naturalistico montelliano.
 
«Per alcuni in questo 2020 ne sarebbero cresciuti di più, ma è un’impressione sbagliata. Ci sono due tipi di chiodini, quelli di tipo gallica che crescono singolarmente e quelli di tipo mellea (in dialetto “a bari” ndr). Di solito i funghi di tali tipologie spuntano sfalsati di qualche settimana l’una dall’altra ma quest’anno lo hanno fatto assieme», conclude Gasparetto. —
 
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