Il capo della Dia: «C’è un’alleanza tra le mafie per dividersi il Veneto»

L’allarme del colonnello Paolo Storoni:  «Attenzione ai fondi del Recovery plan, circoleranno molti soldi che faranno gola ai sodalizi criminali con pratiche illegali». «Abbiamo la prova che sono le imprese spesso a rivolgersi alle organizzazioni malavitose per avere finanziamenti». «Ora vengono affiliati anche i politici. È una tattica per rendere più efficace il controllo del territorio». «Un nuovo fenomeno è la caccia agli appalti di piccola dimensione. Quindi l’attenzione va estesa a tutti i gangli dell’economia». Aiuto necessario «I cittadini devono imparare a vedere dove si annida il pericolo, nei paesi e nei luoghi di lavoro»

L’intervista

«Le mafie in Veneto sono presenti stabilmente, e si coordinano per spartirsi gli affari senza sparare». Il colonnello Paolo Storoni da anni combatte la criminalità organizzata, lo ha fatto in Calabria, in Sicilia, nel Ros, da luglio dirige la Direzione investigativa antimafia del Triveneto. Tutti i giorni deva fare i conti con la nuova mafia, quella dei colletti bianchi, quella delle imprese. Quella, anche, finita nel mirino della prefettura di Treviso, con le due interdittive antimafia rivolte ai Consorzi Stabili La Marca e Lm Group.

Colonnello, a Treviso che presenze mafiose ci sono?

«Ci sono più soggetti, ma non abbiamo una struttura stabile e articolata nella Marca, come invece possiamo averla a Verona. La parcellizzazione della criminalità organizzata è molto ampia in Veneto, e non si può dire che ci siano dei territori esenti».

In Veneto mafia, ‘ndrangheta e camorra come agiscono? Si sono divise territorio e affari?

«Ci sono tantissime occasione di business, quindi si coordinano. Si è creato un equilibrio criminale, per cui non assistiamo a scontri o azioni di fuoco tra assetti contrapposti. Ricorrono ad accordi preventivi per spartirsi la “torta”, tenendo un basso profilo. Sappiamo che a Verona c’è una fortissima presenza della ’ndrangheta. Sul lago di Garda, in particolare nella ristorazione, della camorra. E questo vale anche per la costa Adriatica. Da osservare che gli equilibri criminali nelle regioni di provenienza non corrispondono spesso a quelli del nord. Se al sud gli assetti criminali sono in contrapposizione, quasi mai lo sono nel settentrione, dove fanno affari insieme».

Le interdittive antimafia a Treviso hanno bloccato un consorzio che aveva ottenuto un appalto pubblico quando era ancora pulito. I comuni come possono accorgersene in anticipo?

«Devono fare rete, scambiarsi le informazioni. Se vedono che un’impresa sconosciuta, senza arte né parte, arriva e improvvisamente prende molti piccoli lavori o partecipa in modo compulsivo a molti appalti, si devono accendere campanelli d’allarme».

Anche negli appalti di piccolo valore?

«Soprattutto. Negli affari di medio-piccolo cabotaggio è più facile oggi trovare le irregolarità. I grandi appalti hanno un sistema di controllo che tendenzialmente funziona, anche attraverso le certificazioni antimafia. Mentre la parcellizzazione del denaro pubblico, con piccoli lavori sotto la soglia limite per le certificazioni, crea occasioni per la criminalità organizzata. E circa i due terzi del denaro pubblico degli enti locali viene utilizzato nei piccoli lavori».

PER APPROFONDIRE:

 

I Consorzi Stabili sono strutture tipiche che le mafie utilizzano per infiltrarsi?

«Sono strutture legittime, che hanno la funzione virtuosa di mettere insieme piccole imprese che altrimenti faticherebbero a prendere certi appalti. In alcuni casi possono essere creati ad hoc, proprio per penetrare il territorio, anche tramite aziende apparentemente regolari, ma con grande disponibilità economica. Ci sono alcune anomalie che vanno considerate anche dagli enti pubblici: lavoratori apparentemente regolari che vengono retribuiti con compensi abnormi rispetto al formale inquadramento, aziende che si prestano lavoratori, facendoli passare da una interdetta per mafia ad un’altra pulita, o amministratori giovanissimi al vertice di consorzi che partecipano ad appalti, spesso senza nessuna qualifica o esperienza professionale».

In Veneto ha senso parlare ancora di infiltrazione mafiosa, o sarebbe meglio parlare di presenza?

«L’infiltrazione rappresenta l’inizio di un fenomeno, è un termine che si poteva utilizzare anni fa. Oggi c’è una presenza stabile a macchia di leopardo. Non tutto il territorio del nord ha una criticità omogenea».

Com’è stato possibile che la criminalità organizzata si sia stabilita nel nostro territorio, senza che i cittadini quasi se ne accorgessero?

«La mafia si è evoluta, significa che i nipoti dei mafiosi di una volta hanno studiato, hanno frequentato università anche di prestigio, si sono laureati e sono diventati liberi professionisti. Oggi la mafia è un’impresa, e come ogni impresa che vuole essere vincente diversifica i propri investimenti. Quelli “leciti” non li può certo fare al sud dove l’impresa da anni è ormai in forte difficoltà. Si va dove l’economia è fiorente. Al nord, invece, non sempre in modo inconsapevole, è stata spesso fatta una lettura sbagliata del territorio».

Cosa intende dire?

«Per anni si è portata avanti la bandiera del nord esente dai grandi mali italici: estorsione, corruzione, criminalità organizzata. Come fosse un’azione di marketing per portare ad investire sul territorio. Ma portare avanti questa retorica ha permesso il proliferare e lo stabilizzarsi della mafia. Di fronte alle poche denunce per estorsione, per usura, o per danneggiamenti a scopo estorsivo, si è voluto credere che la mafia non ci fosse. È stato a volte anche un alibi».

Perché però nella prima fase mentre in Sicilia, in Calabria e in Campania si sparava qui la criminalità organizzata non proliferava?

«Perché c’era il contrasto sociale, che è più efficace dell’azione repressiva dello Stato, perché spesso gli inquirenti intervengono quando già si è consumato il reato. Un incendio, uno sparo ad un saracinesca, una minaccia a un imprenditore, sono tutte manifestazioni violente che al Sud spesso vengono accettate con rassegnazione, al Nord no. Fortunatamente qui è ancora così. La criminalità organizzata si è adeguata al territorio, ha tenuto un basso profilo, si è tenuta lontana da contrasti e azioni violente, si è resa meno visibile e individuabile. E quindi è mancato il contrasto sociale. Ma da qualche anno stiamo vedendo un fenomeno drammatico, emerso da diverse inchieste, a causa delle crisi economiche degli ultimi anni».

Quale?

«Gli imprenditori consapevoli del potere che può evocare il “brand mafia”, lo utilizzano anche per riscuotere un credito o per esercitare una posizione dominante sul mercato. Si rivolgono al mafioso di turno affinché porti avanti le proprie ragioni, o estorca quanto desiderato».

Questo significa però sapere riconoscere e sapere come contattare un mafioso…

«Un imprenditore che lavora sul territorio sa chi ha disponibilità di denaro».

Lei pensa che ci siano imprenditori che finiscono inconsapevolmente nella rete della criminalità?

«Si, c’è chi in buona fede apre la porta; ce ne sono però altri di spregiudicati che scendono a patti col sistema per far business. E c’è anche chi accetta il rischio perché si trova in difficoltà economiche, ma non capisce che una volta dentro l’azienda la mafia non se ne va più. Ma il luogo comune che l’imprenditore sia esclusivamente vittima della mafia è superato, oggi fa affari con la criminalità organizzata. C’è un aspetto poco considerato: l’aggressione mafiosa non deve essere percepita solo come l’esclusivo rapporto tra vittima ed autore del reato. Qui abbiamo concorrenza sleale. L’azione dell’organizzazione mafiosa determina ingenti danni alla collettività economica».

Eraclea ha messo in luce i rapporti tra politica e criminalità organizzata. Ci saranno altri casi simili in Veneto?

«Dobbiamo tutti tenere ben presente il caso di Eraclea. Per la mafia una volta era un tabù avvicinare amministratori pubblici, oggi invece cerca di farlo. Indagini svolte nel nord Italia hanno dimostrato anche il fenomeno opposto: l’aspirante amministratore, desideroso di raggiungere un sicuro risultato elettorale, cerca l’aiuto della compagine criminale che è in grado di garantire un pacchetto di voti certo, con la promessa di futuri favori nella gestione della cosa pubblica. È importante porre la massima attenzione nei cambi di residenza nei mesi precedenti alle consultazioni elettorali».

Emergenza covid e ristori, Ecobonus, recovery plan, un gran giro di soldi dal 2021...

«Stiamo dedicando molta attenzione a questo aspetto perché ci aspettiamo un’azione invasiva della criminalità organizzata, per esempio con società che produrranno false fatturazioni per alterare i reali volumi di affari e quindi percepire i ristori. Servirà attenzione anche per il superbonus nell’edilizia, sia nella verifica delle aziende che lavoreranno, sia per quelle che dovranno produrre le certificazione per ottenere i benefici fiscali. Questi meccanismi si verificano anche con la compiacenza di professionisti e aziende locali. In diverse attività investigative è emerso il ruolo determinante del professionista di turno ben consapevole della natura mafiosa del suo interlocutore».

Forze di polizia, cittadini, istituzioni, come dovranno contrastare in futuro la criminalità organizzata?

«La polizia del futuro si dovrà muovere sempre più spesso sul piano economico. In tal senso tutte le forze di polizia si stanno formando e orientando verso questa strada. In particolare la Direzione Investigativa Antimafia già da tempo ha intrapreso questo percorso attraverso il tracciamento dei flussi finanziari sotto il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia. Le tre Procure Distrettuali (Venezia, Trieste e Trento) e le prefetture stanno dando molto impulso al contrasto della criminalità organizzata, soprattutto sotto l’aspetto patrimoniale. È importante fare rete, scambiarsi informazioni, anche tra amministrazioni pubbliche e società civile. Saremo vincenti quando vi sarà una seria presa di coscienza etica del fenomeno a livello sociale e culturale». —

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