Il Danieli pignorato Schiaffo all’albergo prediletto dai vip

La storia non agevola, amplifica. Il passato fastoso non aiuta, semmai aggiunge carico al carico, eco all’eco, stupore a sconcerto, bisbigli all’ufficialità di tre righe con la quali l’hotel Danieli di Venezia conferma ciò che non avrebbe mai nemmeno ipotizzato di immaginare. Pur dolente, con l’imbarazzo di trovarsi in una situazione degna più di un motel di periferia che non di albergo a cinque stelle, il gioiello in stile gotico affacciato su Riva degli Schaivoni s’inchina all’infausta parola.
«Siamo a conoscenza dell'atto di pignoramento in corso del mutuo intitolato al Gruppo Statuto, proprietario dell'hotel Danieli- recita una breve nota rilasciata ieri mattina - possiamo confermare che continuiamo a gestire con successo l’albergo Luxury Collection icona di ospitalità nel mondo, garantendo l'eccellenza di servizio per cui è noto».
La sberla dell’atto giudiziario è entrata nella hall dell’hotel con il passo felpato che si addice agli hotel i cui concierge potrebbero tenere lezioni di bon ton. Si sa ma non si dice, si soffre ma si sorride, si teme e si spera.
Si spera molto, a onor del vero, perché la vicenda che rischia di gettare schizzi malvagi sulle tappezzerie dorate non è semplicissima. Accade, infatti che l’imprenditore Giuseppe Statuto, proprietario del Danieli così come del Four Season e del Mandarin di Milano, non abbia pagato diverse rate del mutuo contratto con tre banche (Mps, Banco di Sardegna e Aareal) ignorando l’intimazione a saldare il debito. Il pignoramento è in linea con la magnificenza dell’hotel: 242 milioni di euro, la stessa cifra pagata dieci anni fa per acquistare l’hotel con le sue 210 camere dalla catena Starwood.
Nel frattempo il Gruppo Statuto ha rinnovato i ristoranti, rinfrescato i saloni e restaurato le suite dedicandole a Greta Garbo, Maria Callas e Grace Kelly, che negli anni ebbero la grazia di occuparle ciascuna con i propri bauli, le cappelliere, le stole di pelliccia, i mazzi di rose e la corte di ammiratori che stazionava in riva oltre la porta girevole.
È dietro quella porta, diaframma tra la sontuosità ancora intatta dell’albergo e una parte di Venezia assediata da grupponi di turisti e venditori abusivi, che Angelina Jolie e Johnny Depp si sono rincorsi, presi, ripersi e riacciuffati, ciascuno pensando di essere più furbo dell’altra, nel film “The Tourist”, uno dei tanti girati nella hall che possiede una delle scalinate interne più belle della città.
Composto tra l’unione di tre palazzi rispettivamente del XIV, XVII e XIX secolo, già di proprietà della famiglia Dandolo, il complesso divenne albergo nel 1822 con Giuseppe Dal Niel che gli diede il proprio soprannome “Danieli”. All’epoca le camere erano a due cifre e fu nella numero 10 che, nell’inverno del 1833, bruciò la storia d’amore, al tempo scandalosa, fra George Sand e Alfred de Musset.
Passato più volte di proprietà - tra cui, nel 1906, alla Ciga - l’albergo è uscito indenne dalla concorrenza sempre più spietata delle altre strutture ricettive che in laguna contano ormai oltre 30 mila posti letto. Perché al Danieli (e in pochi altri) è il prezzo che fa la differenza, e non tanto per quanto sbalordisce ma per quello che garantisce.
Nella suite dedicata al doge Enrico Dandolo - 12.500 euro a notte in alta stagione - restaurata quattro anni fa da Pierre-Yves Rochon, le tappezzerie sono di Rubelli, le lenzuola di lino finissimo, gli oggetti da museo, i lampadari firmati da Archimede Seguso, i balconcini con vista a 180 gradi dal Canal Grande al Lido, il bagno grande come una camera e la doccia grande quanto un bagno, i rubinetti d’oro, la tecnologia è dietro le tende di broccato e il letto king size giace all’ombra di un affresco originale del XVIII secolo di Jacopo Guarana. Qui hanno soggiornato Bill Gates, l’emiro del Quatar, il presidente cinese e, prima ancora, Walt Disney, che amava prendere la prima colazione lassù in terrazza all’ultimo piano.
Le carte bollate di un ufficiale giudiziario, l’improvvisa commistione con parole orribili quali rate insolute, solleciti, protesti, il precipitare inaspettato in un fascicolo della Corte d’Appello di Roma hanno il suono secco dell’offesa che colpisce dove capita: un po’ il presente, un po’ il passato, un po’ il futuro.
Fonti vicine al Gruppo sostengono che Statuto è pronto a pagare; così facendo salverebbe almeno la storia.
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