Il giudice Campo: “Credibilità a picco. La magistratura deve recuperare autorevolezza”

Parla il candidato nel collegio del Nord Italia per il Consiglio superiore della categoria. No a logiche di parte

Cristina Genesin

PADOVA. Dottor Gaetano Campo, anche in Veneto alcuni magistrati sono finiti nello scandalo delle nomine pilotate che ha coinvolto l’organo di autogoverno della magistratura e, al suo interno, l’ex consigliere Luca Palamara. Pochi i magistrati finiti sotto procedimento disciplinare. Non crede sia fondamentale da parte del prossimo Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) un cambio di passo?

«C’è un problema di caduta verticale della credibilità della magistratura davanti all’opinione pubblica. Il giudice, quando pronuncia una sentenza, lo fa in nome del popolo italiano, quindi il rapporto con la legittimazione popolare è molto forte. Il Csm è giudice e non ha potere autonomo di iniziativa disciplinare, potere molto delicato perché nelle mani di maggioranze politicamente orientate può essere utilizzato per far fuori giudici sgraditi. Il potere autonomo del Csm è il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale. Per quanto riguarda la vicenda Palamara, molti procedimenti sono ancora in corso. Poi ci sono vicende, chiuse con l’archiviazione, che hanno lasciato pure molti magistrati insoddisfatti. È necessaria una cesura rispetto al passato. Quello che può fare il prossimo Csm è restituire credibilità e autorevolezza all’intera magistratura».

I cittadini hanno perso fiducia nella magistratura, percepita come un casta…

«Sono temi che si tengono insieme: credibilità e autorevolezza nella magistratura, credibilità della sua azione. Queste vicende di corruttele sono il frutto di un accentuarsi della visione burocratica del lavoro del giudice. L’interpretazione burocratica delle pubbliche amministrazioni porta a fenomeni di malcostume. Una legge del 1905 vietava ai magistrati di chiedere raccomandazioni al ministro. Certo le correnti ci hanno messo del loro. Dovunque c’è un’interpretazione burocratica di un ruolo pubblico, però, è più facile creare fenomeni di malcostume. Per recuperare credibilità, occorre assicurare trasparenza, rendicontare quello che si fa in modo comprensibile ai cittadini, sburocratizzare l’intero corpo giudiziario, slegarsi alla logica del capo che decide per tutti e accentuare la compartecipazione dei magistrati nella gestione dell’ufficio». Pure il lavoro dei giornalisti è reso sempre più difficile nei Palazzi di giustizia... «Il diritto di cronaca è fondamentale per la conoscenza da parte dei cittadini di quello che accade nelle aule di giustizia. Occorre stare attenti alle limitazioni a questo diritto: c’è un diritto alla riservatezza degli indagati ma esiste un diritto della collettività di essere correttamente informata».

Autorevolezza da recuperare: quale il ruolo del Csm?

«Deve nominare dirigenti capaci ai vertici degli uffici giudiziari, consapevoli della complessità che ha la giurisdizione oggi. Una complessità che esclude la logica “dell’uomo solo al comando”. Dobbiamo abbandonare la logica delle appartenenze: non ci sono più i “miei” e i “tuoi”, ne va della sopravvivenza del Csm come organo autonomo».

È la posta in gioco?

«Direi di sì. La caduta a picco della credibilità del Csm significa far entrare dalla porta il controllo politico non sulla magistratura, ma sul controllo di legalità, sulla tutela dei diritti dei cittadini. L’indipendenza del magistrato non è un privilegio per fare quello che vuole, ma uno strumento per la garanzia dei diritti. Io giudice sono indipendente da ogni potere pubblico e privato proprio perché non prendo ordini e applico la legge».

Le candidature al Csm sono ancora per correnti...

«La possibilità di scegliere fra 87 candidati può essere salutata con grande favore. Anche se mi pare un parallelismo curioso la moltiplicazione delle candidature per il Csm e la moltiplicazione delle liste nella politica, forse un segno di come ci siano pochi momenti unificanti quando si parla di elezioni. Il problema è che i gruppi devono tornare a fare quello per cui sono nati: rappresentare idee sulla giustizia e offrire queste elaborazioni collettive».

Giustizia lenta: nel penale si impiegano 7, 8 anni per arrivare a tre gradi di giudizio...

«La giustizia in Italia è amministrata a macchia di leopardo. Ci sono uffici efficienti e uffici che non lo sono affatto, da cui i magistrati vogliono scappare per carichi di lavoro pesanti. Di 11 posti in Corte d’appello a Reggio Calabria, non ne è stato coperto nessuno. Per non andare lontano, il tribunale di Venezia soffre di una scopertura notevole. Parlando di tempi, dobbiamo tener conto di una macchina complessa».

Che fare?

«Il Csm deve intervenire con una politica dei trasferimenti mirata di concerto con il Ministro della Giustizia. Gli strumenti più efficaci? Gli incentivi economici. Ma competente a dichiarare una sede disagiata è il ministro perché comporta un esborso di spesa. Teniamo conto che, nei prossimi due anni, la situazione sarà drammatica perché non entreranno nuovi magistrati. Il concorso del 2020 è saltato per la pandemia, in quello del 2021 è stato promosso il 5%».

Altro che durata ragionevole dei processi…

«Dobbiamo stare anche attenti a una visione numerico-statistica della giustizia. Dietro ogni fascicolo ci sono persone, storie, investimenti personali rispetto a un’aspettativa di giustizia. Il rischio di fare in fretta si traduce nel tagliare l’accertamento del fatto. Non va bene: bisogna spiegare al cittadino che una sentenza giusta richiede un tempo. La logica dei numeri è smaltimento, non giustizia. E poi non tutti i processi hanno lo stesso peso: pensiamo a un processo Miteni o Banca Popolare di Vicenza».

Il rapporto con l’Avvocatura non è sempre facile…

«I progetti organizzativi degli uffici giudiziari passano dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati che ha uno spazio istituzionale per interloquire. Nel settore civile-lavoro ho notato che funziona molto un lavoro collettivo di discussione all’interno dell’ufficio giudiziario per individuare linee interpretative comuni. Una volta che questi indirizzi vengono messi a conoscenza dell’Avvocatura, si rendono più trasparenti le decisioni, nel senso che non dipendono dall’estro di come si è svegliato il giudice quella mattina. Io credo molto a un dialogo più fecondo fatto dagli Osservatori sulla giustizia. Poi ognuno fa il suo mestiere, tuttavia il confronto con l’Avvocatura resta fondamentale».

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