Il pizzo dei Casalesi sullo spaccio: il 20 per cento sull’incasso dei trafficanti

Attività gestita all’inizio in modo indiretto ma diventata più rilevante con la crisi dell’edilizia, uno dei business del clan

VENEZIA. Il core business dei Casalesi di Eraclea era ben altro. Estorsioni, usura, rapine, illeciti fiscali, soprattutto. Ma il sodalizio guidato da Luciano Donadio aveva saputo distinguersi anche nello spaccio, imponendo la propria regola. Ovvero chiedendo una cifra attorno al 20 per cento degli incassi degli spacciatori che lavoravano nel territorio. Un po’ come succedeva con la gestione della prostituzione da parte di organizzazioni straniere.

Prima e dopo. C’è un prima e un dopo nella ricostruzione dell’impegno dell’organizzazione camorristica in questo florido settore. A decidere - e non poteva essere diversamente, era il boss. Il quale, almeno a parole, si diceva contrario a che i suoi sodali impegnassero tempo ed energie sullo spaccio. «Arrangiatevi voi, io non voglio sapere niente... Non voglio mischiarmi... Su ste cose qua sono anche un po’ contrario».

Erano gli anni tra il 2006 e il 2010. Donadio voleva starsene fuori perché, ricostruisce il sostituto procuratore Roberto Terzo, il traffico di droga «era considerato troppo rischioso e non abbastanza remunerativo se non realizzato poche volte e per quantitativi ingenti».

Sullo spaccio c’erano gli occhi puntati delle forze dell’ordine. Bastava una sbavatura, una mezza parola, e sarebbero stati incastrati. Poi la svolta. Il boss cambia idea e si butta sugli stupefacenti. Non direttamente, ma attraverso l’attività di esperti collaboratori, specie albanesi, tra cui Lefter Disha ed Elton Koka, finiti nella maxi retata di martedì (e di cui riferiamo nel pezzo sotto). Perché Donadio tradisce le proprie convinzioni e amplia il proprio business? Nella richiesta di misure cautelari, il pm ipotizza che l’inversione di tendenza sia legata «alla crisi edilizia e quindi alla riduzione degli introiti connessi alle attività imprenditoriali ed alla varietà di condotte illecite realizzate nell’ambito di questo settore economico».

Cocaina da Napoli. Nonostante l’attività di spaccio fosse perlopiù controllata dai Casalesi di Eralcea che chiedevano il pizzo, c’erano alcuni sodali che si dedicavano direttamente a quest’attività. Il pm ricostruisce che dal 2006 al 2010, Antonio Pacifico, Francesco Verde e Tommaso Napoletano abbiano acquistato ogni 15 o 30 giorni, 200 grammi e più di cocaina per volta, venduta a 70-80 euro al grammo. Le forniture arrivavano soprattutto dal Napoletano, ma anche da Trieste e dall’estero. Per chi non pagava, i metodi erano quelli tipici dei Casalesi. Ovvero le intimidazioni e gli schiaffi. «Qualche extracomunitario che sbaglia, Donadio subito lo va a mettere a posto».

Linguaggio edile. C’era tutto un linguaggio mutuato dall’edilizia per parlare in codice della droga e delle forniture tra i sodali dei Casalesi. «Sono andato a vedere il cantiere... Il cappotto da 5 e il cappotto da 3 sono due prezzi... Quello là me lo fa a 65 al metro, di meno non si può fare... Perché viene fatto bene, hai capito? E poi c’è l’altro... Il cappotto che usiamo sempre a 55 al metro. Poi sono andato da un altro ragioniere, mi ha fatto un altro preventivo». Secondo gli investigatori, 65 e 55 non sono altro che i prezzi praticati da due diversi fornitori per la cocaina. E anche quando si parla del taglio errato, il linguaggio è edile per nascondere il reale significato delle parole: «Doveva fare le scale più alte, sono 30 centimetri più basse».

Sostenere i sodali. Succede nel 2009 che due persone inviate in Campania per prendere la droga vengono fermate e arrestate sulla strada del ritorno a Villabona. Pacifico e Verde si attivano immediatamente individuando i difensori e assumendosi l’onere di sostenere le famiglie degli arrestati. Uno degli arrestati poi decide di vuotare il sacco con il pubblico ministero.

Si legge nell’ordinanza che, stando a quanto riferito dall’arrestato, «Verde e Pacifico gestivano dal 2005-2006 un commercio di cocaina ad Eraclea, all’interno degli uffici della loro azienda dove andavano a rifornirsi i consumatori. Molti dei dipendenti addirittura vedevano scontato a fine mese nella busta paga il costo degli acquisti». E ancora che «Nel capannone della ditta di Verde e Pacifico vi era una pressa apposita per compattare la cocaina in cilindretti dopo averla tagliata con la creatina».
«non fare schifezze»

Anche ad Antonio Puoti, nipote di Donadio, e Nunzio Confuorto è contestato lo spaccio. A Luciano, che il nipote tratti droga non andava molto bene. «Cerchiamo di non fare schifezze, di comportarci bene». Ma nonostante l’“avversione morale” di facciata, Luciano non gli ha mai impedito di dedicarsi allo spaccio. Anzi, lui stesso è andato via via assumendo un ruolo sempre più attivo. Il pm gli contesta di aver organizzato il narcotraffico dal 1998 al 2006 e poi dal 2013. —

Argomenti:camorra veneto

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova