Il pm che fece condannare Maniero: «Metodi da Mala del Brenta»

TREVISO. Metodi da mala del Brenta. L’ex sostituto procuratore generale di Venezia, Francesco Saverio Pavone si è fatto una cultura sugli assalti ai furgoni portavalori, quando lavorava in laguna e aveva sgominato la banda criminale di stampo mafioso capitanata da Felice Maniero. Nel suo ufficio attuale, alla procura della Repubblica di Belluno, ieri ha avuto la sensazione di essere salito su una macchina del tempo e tornato a una ventina d’anni fa, quando queste rapine a mano armata erano abbastanza frequenti, anche sulle corsie autostradali dell’A27.
Chiodi, kalashnikov e altri convincenti mezzi di persuasione: «Visto da Belluno, l’assalto al furgone blindato della Civis mi ha ricordato davvero quelli che venivano consumati nella prima metà degli anni Novanta ad opera dei malavitosi della riviera del Brenta. Spesso disseminavano di chiodi l’asfalto, per fare in modo che il veicolo si fermasse e, in seconda battuta, entravano in azione con i mitra, cercando di avere ragione della blindatura. In alternativa, potevano bloccarlo con una ruspa messa di traverso oppure con due autovetture, la prima davanti e la seconda dietro. I sistemi più utilizzati dalla mala erano essenzialmente questi».
Ma ci sono stati anche casi più cruenti e non dipendeva soltanto dagli scrupoli che avevano i malviventi: «È capitato di sentirsi riferire situazioni anche più preoccupanti», ammette Pavone, «per esempio, quando le munizioni dei mitra non bastavano a consumare la rapina e scattava la concreta minaccia di incendiare l’autoveicolo. Questo costringeva inevitabilmente gli occupanti a scendere dall’abitacolo e consegnare tutti i valori che trasportavano. Tutte le volte sparivano parecchi soldi».
Pavone è il pubblico ministero che ha fatto condannare Felice Maniero a 33 anni di reclusione, dopo che Faccia d’angelo aveva programmato di ucciderlo: «In quegli anni, eravamo riusciti a venire a caso di una sessantina di rapine, sul tipo di quella di ieri. Sto parlando del periodo tra il 1994 e il 1995. Avevamo provveduto ad arrestare più di 50 persone e mi ricordo un processo con qualcosa come 200 capi d’imputazione. Avevamo fatto senz’altro un buon lavoro in questi anni, tanto è vero che nel periodo successivo a condanne anche molto lunghe il fenomeno era drasticamente calato, fino ad annullarsi».
Difficile ipotizzare che matrice possa avere l’assalto più recente, a maggior ragione perché l’osservatorio attuale in montagna non permette di fare chissà quali ipotesi. Potrebbe essere stato chiunque: «L’unica cosa obiettivamente impossibile è che sia ancora qualcuno dei tempi passati», osserva Pavone, «il tribunale di allora aveva emesso sentenze anche molto pesanti e gli anni sono passati. Sono sicuro che gli inquirenti impegnati nel caso sapranno lavorare bene, sulla base degli elementi che hanno sicuramente già raccolto e arriveranno a una soluzione positiva. Li conosco e so come si muovono e come lavorano».
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