Il prete si sposa e il suo amore diventa un libro
E’ la storia intensa di una scoperta fra sensi di colpa e imbarazzi Federico Bollettin getta la tonaca e irrompe nell’Italia multietnica

Bollettin con la moglie Fidelia
Il prete si sposa e scrive un romanzo, ispirato alla sua storia d’amore e d’integrazione. Chi ha dei dubbi vada oggi alle 18 nella sala Paladin di Palazzo Moroni a Padova dove Mauro Castagnaro e Isoke Aikpitanyi presenteranno il libro di Federico Bollettin «Bianco e nera. Amanti per la pelle», Gabrielli Editori. Federico non è proprio uno qualsiasi. Ha gettato la tonaca. E’ lui il prete.
«Don» Bollettin è nato a Padova nel 1975, viene ordinato prete nel 2001. Dopo i primi anni in parrocchia, dedicati soprattutto al tema della convivenza tra persone di diverse culture, si sposa con la bellissima Fidelia, africana, conosciuta sulla strada, e continua il suo impegno con determinazione.
Compie viaggi in Italia e all’estero per conoscere realtà ecclesiali di base che promuovono il rinnovamento della chiesa, ispirate al Concilio Vaticano II e alle teologie della Liberazione. Oggi fa l’operaio. E lo scrittore. Ma resta sempre un prete. Il romanzo è l’occasione per una riflessione sui sacerdoti. Pubblichiamo di seguito un articolo di Federico Bollettin dal titolo: «Le ragioni dell’abbandono, a Padova un prete su quattro si toglie la veste».
di Federico Bollettin
I fatti.
A un anno dal provvedimento di sospensione a divinis (al quale è seguita la scomunica e poi la riduzione allo stato laicale), firmato dal vescovo Antonio Mattiazzo, e poi notificato a don Sante Sguotti, una riflessione seria e serena su questo fenomeno stenta a prendere piede. Sta di fatto che negli ultimi anni continuano ad aumentare i casi di abbandono da parte di preti padovani, per lo più giovani. Non è stato solo il «caso don Sante», rivelato dal mattino di Padova, a suscitare rammarico, scandalo e vergogna tra i fedeli cattolici praticanti, ma anche quello precedente di don Ugo Moretto, direttore della radio e televisione vaticana.
Il 21 febbraio 2002 esce su L’Espresso l’articolo «Don Moretto, papà perfetto» che costerà al giornalista la condanna a due mesi di sospensione dalla professione, assolto dopo tre anni. Nel bel mezzo dei due scoop più famosi, il 18 aprile 2004 sul Corriere del Veneto viene riportata la celebrazione del matrimonio di don Fabiano Prevedello presieduta da don Giovanni Brusegan. Se all’interno dell’ambiente curiale si è preferito mantenere il silenzio, a meno che gli spropositi non arrivassero a livelli insopportabili, sul fronte laico si è acceso un forte dibattito che ha riempito per giorni i quotidiani o il forum dei siti internet.
I dati.
Sfogliando gli annuari che la Chiesa di Padova stampa periodicamente con i nomi e gli incarichi di tutti preti della diocesi, si possono fare alcuni conti. Occorrono un po’ di tempo e di memoria, dal momento che i dati di chi lascia vengono cancellati, nonostante il sacramento dell’ordine sacro - secondo la dottrina cattolica - rimanga, nell’ordinato, impresso in eterno. Se prendiamo in esame gli ultimi 10 anni, sono stati ordinati 76 preti diocesani. Coloro che hanno abbandonato il ministero sono almeno 19, mentre coloro che attualmente si trovano in pausa di riflessione si contano su una mano. Questo significa che, approssimando per difetto, a Padova un prete su quattro si toglie la tonaca, come si suol dire.
Senza contare quei casi in cui il vescovo stesso ha consigliato al prete, coinvolto in questioni di ordine pubblico, di dimettersi dall’incarico pastorale (vedi il caso di don Armando Rizzioli, ex parroco di Due Carrare, accusato per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minore il 4 novembre 2007, o quello dell’ex parroco di Pontecorvo, don Silvio Cauduro, che chiedeva soldi in prestito e non li restituiva, due storie svelate, anche queste, dal mattino di Padova). Non manca chi approfitta di fedeli manipolabili e facoltosi. E’ noto infatti ai superiori, che un parroco della città ha prelevato dalla cassa parrocchiale una cifra di circa 800.000 euro per sistemarsi a livello abitativo assieme all’amante. Spostato semplicemente di parrocchia, si spera non prosciughi il conto della nuova comunità. Da una recente statistica effettuata tra il clero padovano, due sono le parole che esprimono meglio la condizione attuale della maggior parte dei preti diocesani: «stanchi e sempre di fretta».
Le motivazioni.
E’ difficile entrare nella mente di chi decide o è costretto a lasciare il ministero. Quasi tutti si sposano, ma il motivo non è soltanto un innamoramento improvviso: l’impatto con la realtà, complessa e dinamica, si rivela molto diverso dalle previsioni offerte e dalle aspettative createsi durante gli anni di Seminario. Immaginare come potrebbe essere il futuro non sempre può coincidere con la realtà, fatta spesso di incontri inaspettati, di scoperte illuminanti e di cambiamenti radicali. Trovarsi a fare il funzionario del sacro full time non era contemplato negli ideali evangelici di un ordinando presbitero.
La gente vuole un prete burocrate, sempre presente per timbri, chiavi e fotocopie, innocuo predicatore di spiritualismo, lontano dalle dimensioni concrete della vita, da quella economica a quella politica. Alla fine, il prete che apre gli occhi al mondo reale, preferisce trasgredire ad una legge disciplinare, contingente e imperfetta, piuttosto di rinunciare a realizzarsi come uomo e come credente.
L’incontro con la donna, risveglia quegli arcani sentimenti repressi da una razionalità esaltata e da un attivismo narcisista. Superato quell’atteggiamento maschilista e misogino, presente in una lettura fondamentalistica della Bibbia e di una particolare tradizione cristiana, il prete si riscopre amante e attratto da chi gli è complementare. Stabilità negli affetti, rapporto alla pari, dimensione familiare sono esigenze talmente forti da far dimenticare le solenni promesse fatte davanti al vescovo, sotto i riflettori del protagonismo e dell’immaturità di chi cresce in cattività.
La controtestimonianza di superiori, che predicano bene e razzolano male, sconvolge la sensibilità dei più semplici. Cosa potrebbe pensare un giovane prete, quando scopre che il suo parroco, membro stimato del consiglio presbiterale diocesano, usa intrattenersi, fino a notte fonda, con una catechista sposata, nello studio della canonica? O quando scopre nel suo computer siti vietati? Non trovando il coraggio per correggere il suo maestro, l’aiutante arriva da solo a queste amare considerazioni: «Adesso basta! Preferisco essere vero con me stesso e con gli altri piuttosto che apparire come santo e comportarmi da ipocrita».
Una gravidanza indesiderata o l’essere stati sorpresi in flagrante, costringono il prete a dare le dimissioni. A meno che l’innominato non ammetta di aver sbagliato e prometta di non caderci mai più. Soltanto in questo modo potrà essere rimpiazzato in una piccola parrocchia di campagna, o in un’altra diocesi del Terzo Mondo. Come è successo lo scorso 14 settembre a Chioggia, quando il professore di Sacre Scritture del Seminario Maggiore di Padova è stato beccato con la moglie dell’amico parrocchiano. Il vescovo l’ha difeso, scaricando la colpa sulla donna tentatrice.
Spesso il prete è obbligato a intraprendere un percorso di recupero in un centro specializzato, qualcuno accetta per orgoglio personale. Come nel caso di un tale, ex-collaboratore festivo in una parrocchia della zona industriale di Padova. Dopo aver lasciato incinta una ragazza, scappa e trova benevola accoglienza tra le mura del Vaticano, continuando ad esercitare il ministero presbiterale. Attualmente dirige un orfanotrofio in Burundi, mentre suo figlio a Padova non riceve nemmeno una telefonata o un contributo economico.
Le reazioni.
Anche se in passato qualche prete è arrivato al suicidio attualmente chi abbandona il ministero cerca di rifarsi una vita. Dignitosa si spera. Ma a caro prezzo. La maggior parte riconosce o si convince di non essere stata all’altezza di un incarico così impegnativo e si abbandona al senso di colpa. Questo atteggiamento lo porterà a patteggiare con il vescovo. In fondo la Chiesa può rimanere ancora un buon appoggio per trovare lavoro e portare a casa il pane. Esiste anche un delegato del vescovo che cerca di incoraggiare il prete stanco a chiedere la dispensa o l’annullamento dell’ordine sacro per mantenere un rapporto di comunione con la chiesa ufficiale.
Qualcun’altro reagisce con rabbia, per non essere stato ascoltato durante il periodo di crisi. Infine esiste chi non si arrende. Riconoscendo l’assurdità della norma disciplinare sul celibato obbligatorio, continua a sentirsi prete. Il problema però è trovare un luogo dove poterlo esercitare e un gruppo di persone disposte a collaborare.
Le questioni aperte.
Se alcuni mesi fa il dibattito che fortunatamente si è acceso era legato a singoli personaggi o situazioni, don Sante sì o don Sante no, Milingo sì o Milingo no, perché non iniziare una riflessione seria e serena sulle questioni che stanno alla base del fenomeno dell’abbandono dei preti? Quali iniziative proporre? Una raccolta firme per costringere i superiori a valutare la situazione, ascoltando le varie voci interessate? Certo, qualcuno potrebbe pensare che se l’imput non parte dai vertici del Vaticano, cosa potrebbe fare un singolo vescovo o un comitato locale di preti e laici? Eppure nella storia della Chiesa, le riforme sono sempre partite dal basso, da singoli profeti o da gruppi di persone convinte e testarde.
Se il vescovo di Padova concede ad un paio di preti maturi di coltivare una speciale amicizia con le loro rispettive donne, in un rapporto da fratello e sorella, perché non estendere questa possibilità anche ad altri? Se in alcune diocesi italiane, dove la chiesa cattolica è in stretto contatto con le chiese evangeliche, protestanti e metodiste, e i vescovi concedono ad alcuni preti di sposarsi, perché non spedire in quelle zone i nostri preti con la loro famiglia?
Chi fosse interessato a dare un proprio contributo, confermando o contestando quanto detto, può farlo mandando una mail all’indirizzo: fedebolle@diweb.it oppure bollettin.federico@7libero.it
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