Imprenditore di Catelfranco rapito in Siria
CASTELFRANCO. Fabrizio Pozzobon rapito dai miliziani dello Stato islamico perché scambiato per una spia al servizio del governo siriano.
È la drammatica svolta della vicenda che vede protagonista il cinquantaduenne ex consigliere comunale leghista a Castelfranco, che dal dicembre 2016 non dà più notizie di sé dopo essere partito per la Turchia. È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare per terrorismo internazionale, emessa dal tribunale di Como, nei confronti di due extracomunitari: Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed, “foreign fighter” di 23 anni di origini egiziane e latitante, e il padre Sayed Fayek Shebl Ahmed, ex combattente mujaheddin in Bosnia ora in carcere.
Il giudice Carlo Ottone de Marchi, nella sua ordinanza, ha citato la vicenda dell’imprenditore di Castelfranco per dimostrare “l’inserimento di Saged nel circuito terroristico internazionale, essendo egli conosciuto e fidato, tanto da fungere da interprete” nelle conversazioni tra Pozzobon e i rapitori. L’intera vicenda viene quindi raccontata in un’informativa della questura di Como risalente allo scorso ottobre. Il padre Sayed si era rivolto alla polizia perché aveva appreso dal figlio, che in quel periodo si trovava in Siria impegnato a combattere tra le fila dell’Is, «che era stato incaricato di svolgere la funzione di interprete, dalla lingua araba all’italiano, tra i componenti di un omologo battaglione, comunque diverso da quello in cui lo stesso era inquadrato, e un cittadino italiano di origini venete in quel periodo catturato dagli stessi».
Il giudice poi ricostruisce la storia di Pozzobon: «Saged avrebbe raccontato al padre che l’italiano avrebbe raggiunto i territori siriani verso la fine del dicembre 2016 con l’intento di arruolarsi nelle truppe jihadiste ribelli al regime di Bashar Al Assad». A questo punto sarebbe però successo l’imprevedibile: i miliziani al fianco dei quali Pozzobon voleva combattere l’avrebbero invece rapito perché considerato una spia nemica. «I miliziani», scrive il gip, «lo avrebbero rintracciato in un villaggio al confine con la Turchia e trattenuto contro la sua volontà dopo averlo condotto in un luogo montuoso perché ritenuto una spia». L’obiettivo dei miliziani era quello di utilizzare Pozzobon per uno scambio di prigionieri con le truppe governative siriane o per chiedere un riscatto alle autorità italiane. Saged aveva poi raccontato al padre anche cosa accadeva quando faceva da interprete. «Nelle occasioni in cui veniva utilizzato», aggiunge il giudice, «veniva condotto sul posto incappucciato al fine di impedirgli di individuare il tragitto, che veniva percorso effettuando diversi cambi di auto».
L’unica certezza è che alle autorità italiane non sono arrivate richieste di riscatto e non risulta neanche che il governo siriano abbia effettuato uno scambio di prigionieri con Pozzobon, sul cui destino a questo punto il buio è sempre più fitto. L’ultima traccia resta una telefonata fatta il 26 dicembre 2016. Anche se il cellulare dal quale per sei giorni aveva inviato messaggi e foto è rimasto attivo. Di lui non si sa più niente da quando ha lasciato all’imorovviso la sua azienda, la Hidro Solar, gli affetti familiari e la vita tranquilla della provincia trevigiana, sparendo nel nulla. Le ultime sue tracce si perdono a Istanbul, nel dicembre del 2016. Lì è atterrato, con un volo prenotatogli da un amico online che prevedeva il rientro due mesi dopo. Per qualche giorno ha tenuto i contatti con la famiglia, inviando alcuni messaggi su WhatsApp. «Tutto bene qui», scriveva. Poi una foto, inviata all’amico sul cellulare, che lo ritrae sorridente con sullo sfondo i palazzi di una città bombardata. Non era più a Istanbul il 52enne, ma in un Paese in guerra.
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