In duemila a Canale per festeggiare Papa Luciani

Fedeli in piazza già al mattino. Le campane suonano a festa già alle 14.30 poi la lunga cerimonia con l’elogio del patriarca Moraglia: «Lui parlava alle anime e ai cuori»

Francesco Dal Mas

CANALE D’AGORDO. I fedeli alzano lo sguardo, dall’immagine di Luciani, posta accanto all’altare, e intercettano la parete Nord del monte Civetta, illuminata dagli ultimi raggi di sole. Uno spettacolo unico. Tanto da far dire, ad un gruppo di pellegrini arrivati da Venezia: «Questo paese è il santuario a cielo aperto di papa Luciani». Un santuario che si è materializzata con significativa evidenza dalla sera del sabato, con la presentazione della biblioteca del chierico ‘don Albino’ ed il concerto in chiesa.

E ieri mattina, già dopo le 8, si sono presentati i primi pellegrini. Da tutto il Veneto. Prima, in chiesa, ad accarezzare il sorriso di Luciani in bronzo, poi al vicino museo, quindi alla sua casa natale. La piazza imbandierata con i colori del Vaticano, bianco e giallo. Fiori dappertutto, soprattutto gerani rossi. Le strade asfaltate di fresco. Ed i residenti per nulla infastiditi: Luca Lucchetta, l’anima del servizio d’ordine, ed i suoi uomini della Protezione civile dislocati in ogni angolo, fin dalle prime ore. E poi due ore di messa che si sono trasformate in una festa di canti, preghiere, riflessioni, nessuna scontata. La piazza centrale puntualmente organizzata per 700 presenze, quella dietro il municipio, con circa mille. Corsie privilegiate per i prenotati, ma nessuno è stato escluso. A quota 2000, chi arriva più tardi è stato dirottato in campo sportivo.

Le campane hanno cominciato a suonare a festa già alle 14.30, quindi un'ora prima della messa.

LA CERIMONIA

Papa Luciani, il sorriso dell’umiltà. Eccolo sulla facciata della chiesa di Agordo. La piazza tiene gli occhi fissi su quell’immagine, mentre il patriarca Francesco Moraglia celebra la messa di ringraziamento per la beatificazione.

Ma il metropolita della provincia ecclesiastica veneta non fa sconti, nemmeno in un giorno di festa come questo. «L’umiltà di Albino Luciani», quasi ammonisce, «non aveva come criterio il “politicamente corretto” che, oggi come ieri, impone al catechista, al prete o al vescovo di autocensurarsi per non dire parole scomode o affrontare temi sgraditi, diventando così “afoni” rispetto al Vangelo e finendo col proporre se stessi e non Gesù “via, verità e vita”. Questa e non altra è l’umiltà coraggiosa e autentica a cui Luciani si rifaceva e che viveva lui stesso prima di indicarla agli altri».

Il patriarca alza gli occhi, ha intorno 8 vescovi, 50 sacerdoti concelebranti, ma anche il ministro Federico D’Inca e tanti amministratori e autorità civili e militari. È a tutti che si rivolge il patriarca.

All’inizio della solenne concelebrazione, continuata per due ore, il vescovo di Belluno Renato Marangoni, si era posto quasi in preghiera del nuovo beato: «Destaci tutti dalle paure, dalle difficoltà, dalle perdite degli ultimi tempi». E alla fine, prima del solenne Te Deum di ringraziamento, il sindaco di Canale, Flavio Colcergnan, lo aveva implorato anche lui il concittadino salito agli onori degli altari: prima gli ha chiesto scusa per chi, subito dopo l’elezione, 44 anni fa, quasi lo aveva irriso come “povero parroco di montagna”, e poi gli ha implorato la pace. A lui che “è un modello di umanità”.

Unica celebrazione, ma due piazze per contenere gli oltre 2 mila fedeli. Due folle composte, silenziose, devote. Particolarmente attente anche all’approfondimento della figura di Luciani da parte del patriarca. «L’umiltà non è tirarsi indietro per mancanza di coraggio», è stato un altro passaggio decisivo di Moraglia. «La fortezza, infatti, è anch’essa virtù cristiana. L’umiltà, così, è non imporsi, non mettersi in mostra, non autocandidarsi e anche saper ammettere i propri limiti, accettare incarichi scomodi e assumere scelte difficili che non saranno capite ma che sono vere e giuste. Umiltà è, poi, affidarsi al Signore». Vale per gli uomini di chiesa, ma anche per chi presta altri servizi.

Moraglia alza ancora lo sguardo. Vede le montagne su cui Albino, da bambino e da ragazzo, andava a falciare l’erba per le bestie. Ed anche qui un messaggio. «Luciani nasce in un contesto umile, povero, laborioso, onesto, segnato dalla fatica quotidiana del vivere; un ambiente contadino, di montagna, semplice e dignitoso, povero ma generoso, dove – come si dice – si deve “far quadrare il pranzo con la cena”, ma dove si hanno rapporti autentici».

«Ecco perché Luciani», ed è un altro messaggio di Moraglia, «mai cercò di mettersi in mostra per la sua cultura o per il sapere teologico né, tantomeno, voleva dare l’immagine d’ intellettuale o accademico, poiché non mirava ad essere apprezzato perché dotto o istruito; piuttosto, aveva a cuore il bene delle persone a cui si rivolgeva – nelle omelie, nei discorsi, nelle udienze – e sapeva essere efficace e parlare al cuore e all’anima con riferimenti comprensibili da tutti, presi dall’esistenza di ogni giorno e non per questo meno profondi. Ma questo, presso i sapienti del mondo, non paga mai».

Moraglia ha concelebrato con i vescovi di Belluno Feltre, Marangoni, e di Vittorio Veneto, Corrado Pizziolo, diocesi in cui Luciani ha svolto i primi 10 anni di ministero episcopale . Ha partecipato anche Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza, ordinato prete 50 anni fa dall’allora patriarca Luciani.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova