Inchiesta: le mafie all'attacco del sistema economico del Veneto

La crisi causata dal coronavirus ha immediatamente attivato i clan che vogliono assumere il controllo delle aziende con il metodo dei prestiti. Primo passo per arrivare al controllo del territorio
All’inizio fu “cosa nostra” siciliana. Dopo la “conquiesta” di Venezia con la caccia ai cambisti del casinò, la notte del 10 ottobre 1980 da parte di Felice Maniero che quella notte aveva accanto a se Gaetano Fidanzati (il referente della mafia siciliana al nord) e Nino Duca, la mafia isolana ha ampliato le sue proprietà in laguna e non solo.
 
L’acquisto in contanti, a prezzi altissimi (fino a 8 volte il valore di mercato) di hotel, ristoranti e anche semplici bar del centro storico da parte di società (spesso con sede in paradisi fiscali) arrivò al punto da essere stato segnalato dalla Banca d’Italia e da comparire nella prima relazione della Commissione parlamentare antimafia dedicata al Veneto, nel 1994. La relazione di Carlo Smuraglia indica infatti nel settore turistico di Venezia, Abano e Cortina i principali poli d’interesse mafioso per il riciclaggio con l’acquisto di attività. Un investimento che oltre a "lavare" i soldi acquisiti con il traffico di droga ha permesso ai padrini investimenti ad alta redditività.
 
Dopo 26 anni una crisi di settore completamente inaspettata offre alle vecchie e nuove mafie un’opportunità spettacolare per ampliare il proprio potere a Nord est passando da un controllo economico di tipo settoriale a un più ampio controllo sociale: poter cioè determinare forme di pressione grazie alla possibilità di determinare il mercato dei beni, del lavoro, dei trasporti, e in generale puntare a  esercitare  un controllo molto più territoriale, come avviene in determinate zone di Sicilia, Calabria e Campania.
 
Negli ultimi 20 anni un’altra organizzazione criminale molto più aggressiva si è fatta largo nel panorama economico veneto, la ’ndrangheta calabrese e, in misura leggermente minore, la camorra campana.
Pur non entrando mai in conflitto con cosa nostra siciliana, l’a ’ndrangheta ha sviluppato l’acquisizione  e il controllo di varie realtà economiche venete tramite il sistema dei prestiti che alla fine portavano al controllo dell’azienda.
 
L’usura nella sua forma classica, cioè il prestito di contante, non esiste più perché troppo tracciabile. Ora le aziende in difficoltà che si rivolgono alle mafie ottengono aiuto in forma di crediti dietro cessione di quote societarie o beni immobili, oppure di cessione a titolo gratuito di beni e servizi ad altre società che fanno parte dell’organizzazione mafiosa.
 
Resta un dato di fatto ben evidenziato dal gruppo di lavoro sul’economia criminale portato avanti dall’Università di Padova: le mafie non producono mai ricchezza per un territorio ma tendono a impoverirlo perché cercano solo due cose potere e ricchezza. "Chi si mette in affari con mafiosi nella migliore delle ipotesi viene ridotto sul lastrico", spiega il prorettore Antonio Parbonetti, "e questa ripeto è la migliore delle ipotesi perché la mafia vuole assumere il comando". La prova viene dal fatto che la totalità degli imprenditori entrati in contatto con le mafie ha perso tutto aziende, casa e famiglia. Una buona percentuale di essi ha inoltre subìto angherie fisiche molto pesanti, che hanno lasciato strascichi a livello medico-funzionale.
 
Ora basta pensare che un anno fa a Venezia gli albergatori guardavano al last minute e si si sperava nel tutto esaurito per capire oggi come i 1.400 hotel che sono associati all’Associazione veneziana albergatori siano in una posizione difficile.
Con loro tutte le attività legate al turismo: ristoranti, bar, musei, affittacamere, agenzie di trasporto, fornitori. Alcune sono da tempo nelle mani delle mafie, altre riuschiano di diventarlo a giorni.
 
Il direttore dell’Ava, Claudio Scarpa, aveva quindi lanciato l’allarme ai primi di aprile. «Tutto è chiuso, per riaprire, si deve mettere nuovamente in moto l’intero segmento del turismo, quindi anche gli esercizi pubblici e commerciali. Ci vorrà un anno, il tempo di trovare il vaccino. Quindi ipotizziamo un ritorno alla normalità per la primavera del 2021. Questo è il periodo in cui il primo impegno è sopravvivere. Ma è anche il periodo in cui capitali di dubbia origine potrebbero essere offerti all’albergatore affinché venda. Il momento più delicato sarà in autunno, quando qualcuno potrebbe avere problemi di liquidità».
Idem per il settore spettacolo i discoteche, che nella nostra regione dà lavoro a 5 mila persone, pur muovendo un business vorticoso attorno ai 10 milioni di euro dichiarati e, soprattutto, in contanti. Anche qui i titolari hanno segnalato di temere l'arrivo degli emissari mafiosi.
 
In realtà già da febbraio i gruppi delle forze dell’ordine specialisti nella lotta alla criminalità organizzata (Dia, Servizio centrale operativo della polizia, Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri e Gruppo investigativo sulla criminalità organizzata della guardia di finanza) avevano avvertito che le mafie si erano attivate ed erano estremente aggressive in tutto il Nord Italia e specialmente nelle nostre zone.
 
«Abbiamo imprenditori che ci dicono di essere stati contattati. Ci hanno detto: “Questi ci suonano al campanello”. Una cosa che segna un cambiamento enorme nella strategia dei gruppi criminali: non attendono più di trovare l’imprenditore in difficoltà che cerca liquidità ma si fanno avanti dopo aver individuato le attività e le imprese di loro interesse».
 
Questo avviene sia per il turismo che per la piccola industria manufatturiera. Il sistema è doppio. Oltre a quello dei prestiti a imprese in difficoltà i criminali possono usare il sistema delle cartiere. Queste sono imprese controllate dalla filiera criminale che fanno ordini per beni e servizi e poi non li pagano. Un'impresa onesta che invii beni per grandi ordini e resti scoperta andrà in affanno. Ed ecco che l'intera filiera criminale si fa sotto per acquisire il controllo dell'impresa.
 
Nel settore manufatturiero a suscitare maggiori appetiti sono le imprese del lusso e quelle che sono proprietarie di brevetti molto appetibili sul mercato internazionale.
 
A cercarle, oltre alle organizzazioni criminali, sono anche i fondi sovrani, espressione di Stati autoritari come Cina e Russia. Il senatore Adolfo D’Urso, vicepresidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica è un organo del Parlamento che esercita il controllo parlamentare sull'operato dei servizi segreti italiani) spiega che anche nella nostra regione ci sono aziende che rischiano di essere colonizzate, per esempio imprese con brevetti e soluzioni tecnologiche.
 
«I fondi sovrani degli Stati più autoritari dispongono di liquidità quasi illimitata, tanto più in momento in cui si può acquistare a prezzi di saldo. Ad esempio fondi pubblici cinesi e aziende cinesi hanno già approfittato dalla crisi determinata dal coronavirus per scalare nelle Borse asiatiche le aziende straniere che avevano fatto investimenti Cina e questo perché il mercato dei titoli era crollato. La Cina ha modificato il suo sistema legislativo, ora qualunque aziende cinese è obbligata a fornire informazioni allo Stato.  Tra le aziende venete nel mirino c’è il polo del lusso (quello che è rimasto), poi sicuramente le aziende che hanno brevetti e tecnologie. I nostri servizi hanno notato come c’è un’attenzione, una rete informativa, su quali siano i brevetti migliori. Questa rete poi va al sistema delle aziende dicendo: “Compra quella impresa che qualche mese fa ha depositato un brevetto che per noi ha uno sviluppo”».
 
Sul fronte della criminalità nostrana anche i tre sottosegretari veneti del governo Conte (Pierpaolo Baretta all’Economia, Achille Variati agli Interni, Andrea Martella alla Presidenza del Consiglio) avevano sottolineato il pericolo il 23 aprile. Variati, parlando degli aiuti dello Stato agli imprenditori, aveva sottolineato: «I finanziamenti e i prestiti saranno versati in tempi rapidi, ma i controlli saranno stretti. Ci possono essere in questi casi infiltrazioni di natura mafiosa. Mafia e ’ndrangheta entrano rapidamente nella mancanza di liquidità. Cominciano con un prestito, poi è la fine. Ci potrebbe essere anche l’assurdo che la mafia fa investimenti con i soldi dello Stato. Noi controlleremo con sistemi evoluti questi movimenti».
In questi giorni, dice Variati, le piccole aziende si stanno rivolgendo alle banche per avere mutui fino a 25 mila euro. Noi garantiamo i tempi veloci, è sufficiente un’autocertificazione. Ma i controlli saranno intensificati».
 
L’input era arrivato dalla  ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: la situazione di crisi in cui si trovano molte imprese a causa della pandemia le rende facile preda della criminalità organizzata che ha grosse disponibilità di capitali. La Guardia di Finanza di Venezia ha iniziato a monitorare la situazione  in particolare nel settore alberghiero. Massima attenzione degli investigatori su una zona dove la presenza di associazioni di stampo mafioso è stata messa in luce da indagini della Procura Antimafia di Venezia e da quella di Trieste.
 
Ad esempio gruppi vicini alla ’ndrangheta attivi sul litorale veneziano hanno iniziato in queste settimane a comprare immobili da imprenditori in difficoltà trasformandoli in residenze turistiche estive in attesa della ripresa. Ognuna di queste imprese in mano al crimine ha chiesto i contributi statali per le aziende in difficoltà causa coronavirus.
 
Ma la nostra è anche terra di infrastrutture e di appalti.  Nella direttiva della ministra dell’Interno inviata a Prefetture e forze di polizia Luciana Lamorgese scrive: «particolare cura va data all’attività informativa preordinata a prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata, attraverso un’attenta ed accurata valutazione di tutti i possibili indicatori di rischio di condizionamento dei processi decisionali pubblici funzionali all’assegnazione degli appalti».
 
Questa direttiva ha  spinto il ministro a chiedere un maggiore impegno dei Gruppi interforze costituiti nelle Prefetture. Gruppi che hanno già iniziato il monitoraggio e la ricognizione, anche da noi, dei lavori che interessano il territorio. Questo ha lo scopo di stilare una mappa degli stessi che consente di individuare eventuali elementi anomali.
Quella degli appalti pubblici è infatti la “grande torta verso cui tendono molte società mafiose. Il sistema è quello di infilare una società di costruzioni e movimento terra in una delle gare d’appatlo. Per poterci entrare le società devono avere un adeguato portafoglio di lavori eseguiti per la pubblica amministrazione che viene costituito all’inizio con piccoli lavori, a livello comunale, per poi fare il salto. 
 
Per questo il lavoro dei analisi da parte dei prefetti, cioè i rapresentanti del governo in tutti i territori d’Italia, è estremamente importante. I prefetti veneti hanno comminato il più alto numero di “interdittive”, cioè il divieto ad avere rapporti con la pubblica amministrazione, ben prima dell’intervento di tribunali ma sulla base della presenza in tali società di soggetti o società legati alla criminalità.
 
E qua arriviamo alla fase 2. Lo spiega bene il prefetto di Padova Renato Franceschelli. «Con la ripresa del lavoro il rischio di una nuova penetrazione nel Padovano della criminalità organizzata è concreto. Categorie economiche, professionisti, banche, Enti pubblici e Forze dell’Ordine lavorino insieme per prevenire un fenomeno che può essere molto doloroso per il territorio». 
Il problema dell’industria veneta è la sua estrema parcellizzazione che ha sviuluppato un tessuto di piccole imprese molto dinamiche ma allo stesso tempo molto esposte a manovre di grandi clan. In questo campo la più attiva è la ’ndrangheta.
 «Questi  elementi rischiano di essere molto interessanti anche per soggetti senza scrupoli che vogliono infiltrare il sistema, prestando ad usura o trasformando imprese in difficoltà in lavatrici di denaro sporco per la criminalità organizzata».
Un fenomeno che già si è registrato in passato anche nel Padovano e che rischia di acuirsi ad ogni fare recessiva. «Una crisi economica profonda e una concreta mancanza di liquidità, unitamente ad un tessuto imprenditoriale straordinariamente vasto e variegato» spiega Franceschelli «possono essere molto appetibili per la criminalità. È nostro compito creare delle barriere di protezione prevenendo il fenomeno. Questo lo si può fare, grazie ad una costante vigilanza delle Forze dell’Ordine ma anche e soprattutto con la partecipazione dell’intera comunità: le sue associazioni di categoria, i suoi professionisti, il suo sistema bancario ed enti come la Camera di Commercio di Padova che ha storicamente una profonda sensibilità a questi temi. Quando tutti lavorano insieme per segnalare fenomeni indicativi come ad esempio inconsueti passaggi di denaro o di proprietà o trasferimenti sospetti di quote societarie, allora potremo agire per tempo e sradicare il malaffare prima che attecchisca». 
 
Un segnale d’allerta colto subito anche dalle categorie economiche, molto sensibili a questo tema. «Già durante la grande crisi iniziata con il 2008» spiega Luca Montagnin, presidente di Cna Padova «abbiamo registrato la penetrazione del malaffare in alcune nostre imprese, spesso a causa di imprenditori che hanno tentanto il tutto per tutto per salvare la propria azienda inconsapevoli dei rischi. Con i prossimi mesi, quando la crisi del dopo emergenza sanitaria si mostrerà nella sua interezza, saremo pronti a fare la nostra per evitare che la criminalità organizzata possa radicarsi ulteriormente nel nostro territorio».
E quando le mafie si “radicano” poi comandano. Tutto.

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