«Io sono innocente: l’assassino si chiama Ale»
Dejan Todorovic si difende: «Il coltello era di Giuseppe Cusin, voleva comprare la droga»
PADOVA. Dejan Todorovic, 19 anni, risponde al telefono mentre è in Slovenia. I carabinieri stanno arrivando da Padova. Ha deciso di consegnarsi, dopo aver parlato con il padre Stanoje. Sa di essere indicato con il possibile omicida di Giuseppe Cusin. E non ci sta proprio. La domanda arriva a bruciapelo.
Dejan, sei stato tu ad uccidere Giuseppe Cusin?
No. E’ stato un ragazzo che stava con me al parco quella sera.
Come si chiama?
Si chiama Ale, ma non so se sia il suo vero nome. E’ di origini slave non so di preciso di quale regione, lo conosco da poco. Ogni tanto ci incontriamo al parco per fumarci una “spagnola di eroina”. Ale è un ragazzo alto circa 185 centimetri, capelli neri. Avrà circa 19 anni. Quella sera indossava abiti scuri.
Quando avete incontrato Giuseppe?
Bepi (Dejan lo chiama così, ndr) è arrivato al parco domenica sera verso alle 22.30. Noi eravamo seduti vicino al fossato mentre consumavamo la nostra roba in santa pace. Poi nel giro di pochi minuti è successo un casino.
Cioè?
Bepi voleva acquistare della roba da noi, ma non ne avevamo. A me interessa solo fumarla, non venderla. Ma lui insisteva. Poi si è arrabbiato e così è nata la colluttazione.
Così Ale lo ha accoltellato...
No. Il coltello ce l’aveva Bepi. Lo teneva nascosto dentro il Runner (lo scooter rinvenuto da una Volante della polizia con le manopole sporche di sangue sotto l’edificio dove abita Dejan in via Cardan, ndr, è che ha dato la svolta alle indagini dei carabinieri).
Bepi ha tentato di accoltellarvi?
Sì. Ha provato a colpirmi alla testa, ma io mi sono scansato e per parare il colpo mi sono ferito alla mano sinistra.
Come è finita l’arma nelle mani di Ale?
Ale gli ha letteralmente strappato il coltello dalle mani ed ho capito subito che aveva intenzioni di fargli del male. Così mi sono frapposto tra loro due nel tentativo di dividerli. Ma Ale mi ha scaraventato via e Bepi, a questo punto, non aveva più difese.
Hai assistito alla sequenza di coltellate?
No. Solo alla prima. Ho visto Ale colpirlo alla pancia e sono scappato verso casa. Ho sentito Ale gridare: “Devo scappare, devo scappare via da qui”. A quest’ora sarà tornato sicuramente in ex Jugoslavia.
E cosa hai fatto appena arrivato a casa?
Mi sono pulito la ferita alla mano. Avevo paura, non ragionavo, ero disperato. Gridavo a mio padre di portarmi via, di farmi uscire dall’Italia. Non gli ho spiegato il motivo. Lui mi ha accompagnato col furgone a Trieste.
Conoscevi Giuseppe Cusin?
Sì. Lo conoscevo. Ci frequentavamo ogni tanto.
Perché sei fuggito? Non era meglio dare l’allarme?
Ero confuso, impaurito, ho pensato che mi fossi cacciato in un grosso guaio senza volerlo. Ero preoccupato del fatto che mi avrebbero additato comunque come assassino. Ma ci ho pensato su parecchio: non voglio scappare per tutta la vita. Anche se ho ancora paura.
Di cosa?
Ho paura di non riuscire a dimostrare quanto accaduto quella notte, che mi diano 30 anni di carcere. Adesso però mi consegno ai carabinieri senza fare casini, in tutta tranquillità. Credo proprio sia la cosa giusta da fare in questo momento.
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