La grande truffa delle banche, dal Veneto al resto d'Italia

Popolare di Vicenza, Veneto Banca,Banca Etruria, CariFerrara, CariChieti, Banca Marche: la lista dei fallimenti. Nel nuovo libro-inchiesta di Renzo Mazzaro, i meccanismi e le responsabilità

PADOVA. «Me copo». No, non era una minaccia a vuoto, lui l’ha fatto davvero. L’hanno trovato impiccato a una trave del suo fienile Giovanni Reghellin, 49 anni, di Schio, ex operaio della Marzotto: vittima del crac di Popolare Vicenza, che aveva ridotto in cenere i 95mila euro frutto dei risparmi di una vita suoi, della mamma e della sorella disabile con cui viveva.

Il suo nome figura nella macabra Spoon River delle decine di risparmiatori che hanno messo fine ai loro giorni per colpa della criminale gestione dell’istituto vicentino e di Veneto Banca: i due moloch del credito protagonisti di uno scandalo finanziario senza precedenti, protrattosi per anni grazie a una ribalda catena di complicità e di omissioni.

È di queste ore la conferma del rischio che alla fine nessuno dei responsabili paghi il dovuto, grazie ai cavilli e ai marchingegni di una giustizia ingiusta. A maggior ragione diventa prezioso ed esemplare il certosino lavoro, fresco di stampa, che Renzo Mazzaro dedica a questa vergogna: “Banche, banchieri e sbancati – La grande truffa dal Veneto al resto d’Italia”, edito da Laterza, è un’autentica requisitoria che attraverso nomi, cifre e testimonianze inconfutabili mette a nudo fatti e responsabilità.

Mazzaro appartiene alla meritoria razza in via d’estinzione dei giornalisti d’inchiesta che la cultura anglosassone cataloga tra gli “watch-dog”, i cani da guardia del potere. Ruolo cui assolve egregiamente in questa ricerca, componendo una mole impressionante di tasselli in un puzzle agghiacciante.

A renderlo tale sono prima di tutto le coordinate numeriche: oltre 207 mila soci delle due banche venete, con le loro famiglie, dopo aver investito quelli che spesso erano i risparmi di una vita, si ritrovano oggi con una media di 26,40 euro a persona. E lo devono a dei farabutti che hanno usato e abusato dei loro soldi in una rete di giochi spericolati, gonfiando i valori fino a vedersi scoppiare il pallone in mano: gli 11 miliardi indicati a inizio 2015, poco più di un anno dopo erano diventati 22 milioni.

Un criminale gioco di prestigio reso possibile anche grazie alla singolare disattenzione di chi avrebbe dovuto vigilare, Bankitalia e Consob in testa: i bilanci delle due banche non erano veritieri fin dal 2001, ma in troppi tra i controllori si sono ispirati alla comoda linea del “se c’ero dormivo”. A rendere più bruciante l’intera vicenda c’è il vergognoso tradimento dello spirito originario dei due istituti.

Nella seconda metà dell’Ottocento, il Veneto aveva saputo essere all’avanguardia in Italia della finanza sociale, inventando le casse rurali e le banche popolari grazie a figure come Leo Wollemborg, don Luigi Cerruti, Luigi Luzzatti. La stessa Popolare Vicenza nasce nel 1866, prima in regione e sesta nel Paese; e conosce un percorso virtuoso di crescita che nel 1996 la porta a contare su 115 sportelli nelle sette province venete, terza nel suo genere in Italia per patrimonio. Diciassette anni dopo, la ritroviamo sull’orlo del fallimento, ridotta alla canna del gas.

Come per Veneto Banca, questo tracollo è la conseguenza di una gestione senza scrupoli da parte di chi teneva i cordoni della borsa distribuendo soldi a destra e a manca; ma anche della complicità di chi quei soldi li ha intascati: in un intreccio di cui hanno beneficiato ampi settori della società, compresi nomi e sigle eccellenti. A pagare davvero, come sempre, sono stati e sono gli ultimi della fila, vittime di un’autentica macelleria sociale.

Qui sta l’aspetto più valido del meritorio lavoro di Mazzaro. Se spetta e spetterà ai giudici dare nomi e condanne ai colpevoli (se mai avverrà, sarà comunque in modo inadeguato), il giornalista svolge al meglio il proprio ruolo invitando a una severa presa di coscienza l’intero sistema regionale, di norma in prima fila nell’esaltare i propri meriti e nel denunciare i torti altrui, ma incapace di fare i conti con se stesso.

Una sollecitazione che Mazzaro aveva già proposto in modo esemplare in due suoi precedenti contributi, “I padroni del Veneto” e “Veneto anno zero”; senza peraltro che chi di dovere ne prendesse nota. Oggi ci riprova con un vero e proprio appello nelle righe conclusive: “Ci vuole qualcuno che metta all’incasso questa lezione perché non si ripeta”.

Caro vecchio amico Renzo, sappiamo bene entrambi che si ripeterà.

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GLI ABSTRACT DEL LIBRO

Le «porte girevoli»

Il martedì nero di Veneto Banca comincia alle 7 di mattina con un tizio in maglioncino che suona al citofono del centro direzionale in via Feltrina, a Montebelluna. «Sono un collega, lavoro qui da ieri e non mi hanno ancora dato il badge per entrare. Puoi aprirmi per piacere?».

Click, il portone si apre. Il nuovo dipendente raggiunge la guardiola della vigilanza e fa le presentazioni:«Guardia di Finanza, da questo momento lei deve ritenersi a disposizione della procura della Repubblica, siamo qui per una perquisizione».

Sono una trentina, tutti in borghese. Più che perquisire, passano al setaccio la banca. I pochi dipendenti già al lavoro vengono fatti uscire. Si entra a turno, uno solo per ufficio, assieme a un dirigente di area, per consentire la perquisizione “in un contesto non inquinato”. Scrivanie, cassetti, doppi fondi, armadi, sgabuzzini. Sanno che le cose interessanti non sono a portata di mano. I dipendenti saranno tenuti fuori fino a mezzogiorno.

Arriva Vincenzo Consoli, furioso. Si rende conto che sono tutti militari provenienti da fuori, non capisce perché. In effetti vengono da Venezia, sono i reparti che hanno operato nell’inchiesta sul Mose. Gli spiegano che quelli del posto conoscevano troppo bene l’ambiente. In effetti la sala operativa di Treviso e i 117 erano stati tenuti all’oscuro dell’operazione. È così che trovano la copia del contratto di assunzione già pronto per il colonnello comandante della Guardia di Finanza di Treviso, Giuseppe De Maio, ancora in servizio: non ci sarebbero mai arrivati chiedendo il permesso di entrare. (…)

Ma il colonnello De Maio cade dalle nuvole: è a Treviso dal 2011, non ha mai chiesto di congedarsi e sostiene di non sapere niente. Un contratto a sua insaputa?

Cinque giorni dopo la pubblicazione della notizia, l’ufficiale è già trasferito a Roma, con due mesi di anticipo sulla scadenza naturale del mandato, a disposizione del comando generale dell’arma. «Motivi familiari», insiste lui, «ho chiesto io di andare a Roma. Il mio trasferimento non c’entra niente con questa storia, si tratta di pure falsità».

Ma altri particolari emergono, per niente in linea con la sua versione. Li rivela la trasmissione
Report di Milena Gabanelli: «Nel 2015 Consoli aveva proposto al colonnello De Maio, comandante in servizio nella stessa zona dove Veneto Banca ha la sede legale, un contratto da 160.000 euro l’anno, per un’assunzione a tempo indeterminato, anche con alcuni benefit come il telefono e l’automobile. Ci risulta che il contratto sia stato controfirmato. I due sono amici, quindi qual è il problema? Hanno fatto pure un viaggio all’estero insieme, a dimostrazione della grande amicizia: in Brasile, nel 2014, a vedere i mondiali di calcio. Volo e soggiorno pagati da una società lussemburghese con conti austriaci. Magari una curiosità verrebbe, di sapere a chi sono intestati questi conti»

Curiosità rimasta tale, nessuno ha approfondito. La vicenda del colonnello De Maio è una “porta girevole”
fulminata nel momento in cui stava per aprirsi. Un caso più unico che raro, date le circostanze della scoperta.

(…) 

 Lo specialista di questi reclutamenti quanto meno inopportuni, se non decisamente sospetti, non è Vincenzo Consoli, a dispetto della flagranza del caso De Maio, ma Gianni Zonin.

La Popolare di Vicenza ha un folto elenco di assunzioni eccellenti (…) Che fossero assunzioni dirette a creare un «cordone difensivo» attorno alla banca, lo dice fuori dai denti Adriano Cauduro, storico capo del personale della Popolare di Vicenza, bestia nera dei sindacati, arrivato a fare il vicedirettore generale e poi esiliato
a Banca Nuova in Sicilia, quando direttore generale diventa Francesco Iorio. Cauduro fa onore al suo cognome: tipo tosto, parlare asciutto, nelle interviste spara nomi e cognomi senza complimenti. È l’unico dirigente della cerchia di Zonin a non essere indagato (…)

La tv lo scopre tardi. Ecco cosa dice Cauduro all’inizio del 2019 dai microfoni di La7 a proposito delle porte girevoli: «Molti dei funzionari ed ex funzionari di Banca d’Italia sono stati assunti dalla Popolare di Vicenza, a volte pagati molto ma molto bene, perché chiamati da Zonin ad essere figure di garanzia e di interfaccia nei confronti dell’organo di vigilanza.  Gli ispettori di Banca d’Italia trovavano ad accoglierli questi loro ex colleghi,
che in qualche maniera facevano da garanzia: guarda che se hai bisogno sono qua, ti aiuto io. In questa maniera, poiché tutti si conoscevano, è anche possibile che qualcuno non vedesse tutto fino in fondo, o non vedesse le cose come andavano viste».

(…) Il 13 dicembre 2017 Gianni Zonin è davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta con il suo avvocato Enrico Ambrosetti. Dal botta e risposta con i commissari, più botta che risposta perché Zonin un po’ non ricorda e il resto non gli compete, stralciamo la parte che riguarda le porte girevoli. I commissari insistono (…) «Mi aspettavo che voi mi ringraziaste per essere andati a prendere le professionalità dove le abbiamo trovate», replica
invece Zonin, come se fosse il presidente di una squadra di calcio che va a comprarsi i giocatori migliori sulla piazza, strappandoli alle altre società. Con la differenza che il presidente di una società di calcio compra i giocatori, qui parliamo dell’arbitro e dei segnalinee. Ma per Zonin non c’è differenza…

***

La lettera della procura che contestava il giudice

In piena estate 2019 emerge un retroscena che rilancia gli interrogativi sulla vicenda che ha portato all’astensione del giudice Miazzi, che presiedeva il processo alla Banca Popolare di Vicenza.  È un fatto accaduto pochi giorni prima del 13 giugno, quando i due pm Pipeschi e Salvadori producono in aula gli atti della causa Sorato che porta il giudice a presentare domanda di astensione.

La tempistica fa pensare che si tratti del detonatore che fa scoppiare il caso. Il procuratore capo Antonino Cappelleri invia una lettera al presidente del tribunale Alberto Rizzo e al giudice Lorenzo Miazzi, in cui mette sotto accusa la gestione del processo. Sostiene che si va troppo per le lunghe, che i rinvii tra un’udienza e l’altra sono inaccettabili e chiede spiegazioni per ognuno di essi.

È singolare che Cappelleri chieda di accelerare i tempi del processo, dopo essere stato egli stesso accusato di lungaggini e di atteggiamento tiepido nelle indagini. Per di più, è detto da una procura che in vent’anni a Vicenza non ha fatto nulla per capire come funzionavano le cose nella banca. Al contrario, ha archiviato denunce che le portavano alla luce già nel 2001 e ha condizionato pesantemente procedimenti avviati, che potevano forse evitare il disastro. Scritto, raccontato e ormai consegnato alla storia.

Cose ben note a Cappelleri, che le ha raccolte in un esposto inviato al Csm nel 2016. Naturalmente le persone sono cambiate, anche se la funzione resta la stessa. Il procuratore capo di oggi può legittimamente ambire a distinguersi dai comportamenti della procura di ieri, che il Csm avrebbe sanzionato se ne fosse stato informato in tempo. Cosa pubblicamente riferita dallo stesso Cappelleri.

Ma se questo era lo scopo, il mezzo utilizzato – una lettera a Miazzi e al suo capo Rizzo – ha ottenuto l’effetto contrario. L’epilogo è arrivato il 13 giugno, pochi giorni dopo l’invio della lettera, con la richiesta dei pm Pipeschi e Salvadori di accludere agli atti la causa Sorato. La successione di tempo non poteva essere casuale, Miazzi non poteva resistere senza la solidarietà di Rizzo e se n’è andato. La procura, invece di guadagnare tempo,
ne ha fatto perdere, per il momento. Questa escalation fa pensare che l’astensione di Miazzi sia il punto d’arrivo di una conflittualità latente, sviluppatasi nel processo. Dovuta a che cosa? (…)

***

Perché è accaduto proprio nel Veneto?

C’è una domanda che pochi si fanno: perché un collasso di queste proporzioni è accaduto solo nel Veneto? Il fatto che un destino analogo abbia coinvolto quattro banche dell’Italia centrale non toglie forza alla domanda: tutte assieme valgono meno di un quarto delle popolari venete, per numero di soci. Non parliamo della
dimensione del danno, che non regge il confronto con il disastro veneto. Soprattutto è diversa la reattività sociale (...)  

Uno che si è posto la questione è Gianni Dal Moro, deputato veronese del Partito democratico, componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. E si è dato una risposta, anzi due: «La prima la traduco in un esempio. Se prendiamo un veneto che debba comprare un’auto, un trattore, ma anche una zappa o qualsiasi cosa, state certi che andrà da tre fabbricanti e si farà fare tre preventivi diversi. Se invece incassa
30.000 euro della liquidazione, va nella banca di sempre, consegna i soldi e non se ne preoccupa più. Ci rendiamo conto del limite culturale che questo comportamento denuncia? Quanti crediamo siano stati i veneti che sono andati in tre o quattro banche a dire: ecco qua la mia liquidazione di 30.000 euro, mi faccia un preventivo su come li investite e cosa mi date. Secondo me neanche uno. I veneti pensano che chi comanda sia il lavoro, sono fieri di questo. No, chi comanda non è chi lavora ma chi gestisce i soldi. Io ripenso agli slogan: il Veneto locomotiva d’Italia, il Veneto la Baviera d’Europa. Basta!, finiamola con questa idea di vivere in una zona fordista, terra di grandi imprenditori che lavorano 24 ore al giorno, mentre a Milano fanno i soldi».

E la seconda ragione qual è?

«Che il Veneto negli ultimi vent’anni non ha avuto una classe dirigente di livello nazionale. Né in politica, né in economia e neppure nelle rappresentanze professionali. Manchiamo ormai da vent’anni. Abbiamo pensato di essere autosufficienti, da qui lo slogan di Luca Zaia, che è l’espressione migliore di questa filosofia: “prima i veneti”.

Non è solo uno slogan autoctono, trasmette l’idea che la tua autosufficienza derivi dalla tua capacità di far star bene chi vive nel tuo territorio: cosa che non esiste, come vediamo. Vale anche per l’economia: chi sono stati gli imprenditori di primo piano a livello nazionale in questi ultimi anni? Se mi riferisco a Verona che è la mia città, dico Bauli, Rana, Veronesi, grandi imprenditori che hanno aumentato il loro fatturato negli ultimi anni. A volte con risultati stratosferici. Pensate che abbiano molto peso dentro a Confindustria nazionale? Comandano i milanesi. E quando non sono i milanesi, sono i torinesi, gli emiliani, i romani. E questi sono i risultati».

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INDICE

1. Il dramma ………………………………………………………………....,3

«Deme indrìo i me schei», p. 6 - «Se non avessi 84 anni», p. 14

- Numero verde della Regione, p. 16 - Radiografia dei soci e di

quanto hanno perso, p. 19 - Trecentomila ipoteche immobiliari,

p. 21 - I casi di «disagio sociale», p. 23 - Perché è accaduto proprio

nel Veneto, p. 29

 

2. Il valore delle azioni …………………………...……………………………..32

Il Catone censore vicentino, p. 34 - Il memoriale Grassano, p.

36 - «Giuseppe, facciamo la pace», p. 37 - Un necrologio con 15

anni d’anticipo, p. 39 - L’esposto-denuncia Adusbef, p. 41 - Il

novello re Mida, p. 43 - La quotazione alla “cena degli uccelli”,

p. 44 - L’esperto indipendente di Veneto Banca, p. 47

 

3. Amici degli amici, azioni baciate, porte girevoli…………..…… …………….50

Il “metodo Zonin”, p. 51 - «Tentativo costante dei vigilati di catturare

i vigilanti», p. 52 - Zonin: «Mi aspettavo i ringraziamenti»,

p. 55 - Così fan tutti, p. 58 - «Collocamento estorsivo delle azioni

», p. 60 - «Fittizia formazione del patrimonio», p. 62 - La corsa

a vendere, p. 64 - Bruno Vespa e i suoi cari, p. 66 - Gli amici più

amici di Veneto Banca, p. 68 - ...e quelli della Popolare di Vicenza,

p. 70 - Il “giro d’Italia” con Pavan, ex Permasteelisa, p. 73 -

Finanziamenti facili, p. 74 - I primi 100 in lista, p. 77 - Una mano

lava l’altra, p. 78 - «Il Grande Capitale che solo io conosco», p. 79

- Il prestito a Verdini in bancarotta, p. 81 - Il prestito a Galan per

Villa Rodella, p. 82 - Vicenza, grandi soci grandi debitori, p. 84

 

4. Cancellati 150 anni di storia …………………………………………………..90

«Ragazzi, io ero il padrone di questa banca», p. 93 - La contestazione

a Zonin, p. 96 - Montebelluna, l’assemblea della rabbia,

p. 102 - Perquisizione alla Popolare di Vicenza, p. 106 - Iorio

scritturato per 10.000 euro al giorno (lordi), p. 109 - Vicenza

fallisce la quotazione in Borsa, p. 111 - Il Fondo Atlante e la

gestione Mion, p. 114 - Montebelluna, la congiura contro Bolla,

p. 117 - L’arresto di Consoli, p. 120 - «Ladri, ladri, ladri!», p. 121

- Anselmi, banchiere senza buonuscita, p. 122 - Le due banche

comprate con 1 euro, p. 124 - Elogio dell’insipienza, p. 127

 

5. Banchieri di casa nostra ………………………………………………………..129

Zonin regista dell’operazione Lonigo, p. 130 - Così finì la Banca

dei Sette Comuni, p. 135 - La presa del potere a Vicenza, p.

138 - Consoli “imperatore” di Montebelluna, p. 141 - Vincenzo

e gli interessi di famiglia, p. 145 - Il gattopardo del Nord, p. 148

- Zonin in Vaticano, p. 150 - Le disavventure della Fondazione

Roi, p. 151 - I processi mai fatti a Gianni Zonin, p. 153 - A picco

la banca ma non gli stipendi dei banchieri, p. 160 - L’azione di

responsabilità, p. 163 - In fuga con il malloppo, p. 169

 

6. Da Banca Etruria a Carige…………………………………………………. 175

L’Opa di Zonin su Etruria e la visita di Consoli in casa Boschi, p.

178 - Lo strano caso del finanziere De Vido, p. 181 - Se lo scrive

Ferruccio de Bortoli, p. 184 - CariChieti, il direttore generale era

un autista, p. 186 - L’odissea giudiziaria di CariFerrara, p. 190

- La fedina penale di Banca Marche, p. 193 - Popolare di Bari,

gioco di sponda con il Veneto, p. 196 - Carige, la maxi-truffa di

Berneschi, p. 201 - Carige, l’intervento del governo Conte, p.

204 - E io pago: i costi dei salvataggi scaricati sui correntisti, p.

207 - Il giorno più lungo di Genova, p. 209

 

7. I controllori mancati …………………………………………………………..212

Cosa sarebbe successo senza l’intervento di Banca Intesa, p. 216

- Chi ha fermato la ricapitalizzazione precauzionale alle venete?,

p. 218 - La Commissione parlamentare d’inchiesta, p. 220 - Le

due Commissioni d’inchiesta del Veneto e la tesi del complotto,

p. 224 - Lo scontro tra Luca Zaia e Pier Paolo Baretta, p. 227 -

La Commissione parlamentare d’inchiesta 2, p. 232 - I cani da

guardia del potere, p. 234

 

8. Carne da cannone ……………………………………………………………………238

Il coordinamento Don Enrico Torta, p. 241 - La rissa tra associazioni,

p. 243 - La transazione, ovvero pochi maledetti e subito,

p. 246 - Le tariffe degli avvocati e i patti di quota lite vietati

dalla legge, p. 249 - Strategie processuali, p. 253 - La guerra per

il fondo ai risparmiatori truffati, p. 256 - I più stressati bancari

d’Italia lavorano nel Veneto, p. 268 - La catena di trasmissione

degli ordini alle filiali, p. 272 - Tremila denunciati per estorsione,

truffa aggravata e usura, p. 275

 

9. I processi…………………………………………………. ………………………………  280

Il sequestro cautelativo ritardato sui beni degli imputati, p. 284

- Perché la Regione non è parte civile al processo, p. 288 - Le

procure sfoltiscono il numero degli imputati, p. 289 - «Dissequestrare

i beni di Consoli e della moglie», p. 292 - La procura di

Treviso contro quella di Roma, p. 295 - La lettera della procura

che contestava il giudice, p. 298

 

 

 

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