La madrina Cucinotta si racconta«Venezia mi fa sentire una dea»

L’entusiasta madrina è arrivata al Lido con sette valigie
Abito nero di Roberto Cavalli, un tubino impreziosito solo da una rosa sulla scollatura, e un cappello di paglia nero e oro regalato da un amico perché fa tanto Venezia e porta fortuna, e che ora serve per giocare davanti ai flash: un modo garbato per scusarsi con i fotografi per l’indicibile ritardo di cui non è colpevole lei, ma il suo aereo. Tacco 12 per incedere verso Marco Müller, direttore della Mostra.


Lui l’ha voluta madrina e ora l’accoglie (sandali Birkenstock e consueta camicia molto informale) alla darsena dell’Excelsior.


E’ dunque Maria Grazia Cucinotta la madrina di questa 66ª Mostra del Cinema che va a cominciare tra grandi promesse e ancor più aspettative, e che trova in lei un volto italiano per eccellenza, un simbolo della bellezza e del fascino mediterranei.


Trenta minuti e 12 centimetri dopo, Maria Grazia Cucinotta è accoccolata sul letto della sua stanza al 3º piano dell’Excelsior; è provata dai ritardi dell’aereo («due ore e mezza, non sapevo più cosa fare»), soddisfatta del trucco messo insieme tra la toilette della dogana a Tessera e il taxi acqueo, e si dice felice: «Mi è tornata la voce. Io non ho mai avuto nulla, ma in queste ultime due settimane è stato un tormento. Febbre, placche, raffreddore: chissà, forse qualche spillone di chi avrebbe voluto essere qui al posto mio».


Qui è Venezia, la sua gioia: «Basta arrivarci e ti senti una star. La prima volta, 15 anni fa con Il postino, non ero nessuno e mi hanno fatto sentire una dea».


La Cucinotta presenterà un’intera rassegna, ma anche Baarìa del suo conterraneo Giuseppe Tornatore: «Non avrò nemmeno bisogno dei sottotitoli, io il baariotto lo conosco e lo capisco, i dialetti di Sicilia si somigliano tutti».


Non è giusto però pensare di insegnarli a scuola: «A scuola sarebbe tanto imparare bene l’italiano e poi l’inglese. Il dialetto s’impara ascoltando la propria terra e le sue voci e deve restarti nell’orecchio come una musica».


Sarà a Venezia sempre - non a caso è arrivata con sette valigie, seppur non grandi, e tre copriabiti - perché vuole vivere la Mostra, i suoi tanti film, fino all’ultimo respiro; si assenterà solo due giorni per impegni di lavoro legati alla sua produzione cinematografica in corso. E, intoccabile, tornerà a casa il 9 settembre quando sua figlia Giulia compirà 9 anni e c’è la festa con le compagne di scuola, da preparare e da vivere.


Gli anni che passano, contro i quali Maria Grazia Cucinotta non sembra aver messo in atto sortilegi di alcun tipo, la rendono meno appariscente e assai più affascinante. Domani sera sul palco della Sala Grande non basterà la bellezza e lei ne è consapevole. Non sa ancora cosa dirà perché ne deve parlare oggi con i vertici della Biennale, non sa se leggerà o andrà a braccio ma è sicura che la gioia di esserci la renderà più forte.


E’ la stessa gioia che prova da quando alla presentazione della Mostra del cinema Baratta e Müller insieme le hanno chiesto di essere madrina e lei ha detto sì prima con il cuore che con la testa. E’ successo a Roma il 30 luglio quando era in corso la protesta degli attori per i tagli del FUS. Lei c’era andata per capire: «Mi hanno detto che si tratta di una misura temporanea, dettata dall’emergenza Abruzzo. Io ci sono andata nei campi dei terremotati, li ho visti dividere quelle enormi tende, quei pochi servizi igienici. Quello è l’inferno. Ognuno di noi deve fare qualcosa, e allora no, io non protesterò».


L’ultima domanda è per forza frivola ma non esce nessuna indiscrezione sull’abito che la madrina indosserà alla serata inaugurale. Sarà Giorgio Armani o Roberto Cavalli e in ogni caso, lo sceglierà assieme a Marco Müller.


Può sembrare un ruolo strano per il direttore della Mostra del cinema ma la Cucinotta spiega che è anche una questione di colore e di scenografia: «E poi in ogni caso prima lui sceglie e poi insieme trattiamo».

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