La Mestre-Orte fantasma: chiesti 311 milioni di danni

Il project da 10 miliardi di euro era stato affidato al gruppo di Vito Bonsignore Dopo il dietrofront del governo Renzi presentato un esposto al Tar del Lazio
Di Renzo Mazzaro

VENEZIA. Ricordate la Romea commerciale, la famosa autostrada Mestre-Orte, quel lavoretto da 10 miliardi di euro di cui per anni avete letto grandi titoli sui giornali senza che succedesse mai niente? L’autostrada non si farà più, è vero, ma una cosa sta succedendo: al Tar del Lazio è stata presentata la richiesta di 180 milioni di euro di danni per responsabilità precontrattuale, più altri 52.297.318 per spese sostenute e 78.987.000 per perdita di chanche, dal gruppo di aziende che avrebbe dovuto realizzarla in project financing. Totale 311 milioni, poco più.

A rispondere sono chiamati i ministeri dei Trasporti, dell’Ambiente, della Cultura, la presidenza del Consiglio con le strutture operative Dipe e Cipe e l’Anas, tutti individuati attraverso le persone fisiche titolari o responsabili pro tempore. Il che introduce un fastidioso dubbio: in caso di condanna gli uomini dello Stato potrebbero essere chiamati a rispondere di danno erariale, il che significa obbligati a fronteggiare l’esborso con il proprio portafoglio.

Il precedente c’è già: il 3 ottobre scorso il Tar del Molise condannando l’Anas per il blocco dell’autostrada molisana (anche quella era da costruire in project), ha spedito le carte alla Corte dei Conti per verificare responsabilità dirette degli amministratori.

Nel 2003 la Romea autostradale, prevista in 430 km di lunghezza, era definita «opera strategica di preminente interesse nazionale». Nel 2016 è scomparsa dalla legge di stabilità, esclusa dalle priorità del governo Renzi, che pure intendeva resuscitare il ponte sullo stretto di Messina. Nel mezzo ci sono stati 13 anni di aggiustamenti e di modifiche del progetto e al piano finanziario, imposti al promotore dagli organismi di controllo. Un iter estenuante, per non arrivare a niente, benché a trainare il project ci fosse un pezzo da novanta dell’iniziativa privata: Vito Bonsignore, deputato della Dc nella prima repubblica e di Forza Italia nella seconda, poi dell’Udc, del Ncd, banchiere, imprenditore. Con qualche intermezzo giudiziario, prima di diventare il grande patrocinatore della Romea autostradale. Si può dissentire e con buoni motivi da queste cordate di imprenditori a metà servizio tra la politica e il business, specializzati nel fare tombola con i soldi dei contribuenti.

Ma lo Stato non è da meno, quando si mette a tirare fregature: per virare sulle decisioni già prese sulla Romea, la PA ha tenuto inchiodato per 13 anni il consorzio di imprese. In queste grandi opere pubbliche, avviate spesso con un sotterraneo lavoro di lobbying, il diritto diventa un optional. Valgono solo le relazioni e niente è più fluido.

A leggere l’esposto presentato dagli avvocati Giovanni Carbone e Giuseppe Giuffrè, uno si domanda in che Paese viviamo. I ricorrenti sono quattro aziende francesi (Gruppo Egis di Versailles), la Technip Italy di Roma, la Gefip Holding di Bruxelles, Banca Carige, Infrastrutture Lavori Italia Autostrade di cui è presidente e amministratore delegato Bonsignore e Management Engineering Consulting di Antonio Conta. Queste due ultime società sono di Torino.

Il project della Romea autostradale nasce il 30 giugno 2003: un consorzio di privati risponde al bando del ministero delle Infrastrutture, che affida in concessione opere definite “strategiche” dal Cipe già nel 2001. Il progetto prevede un investimento di 10,5 miliardi di euro. Viene presentato all’Anas, la quale chiede radicali modifiche. Eseguite.

Il 9 dicembre 2013 c’è la dichiarazione di pubblico interesse. La procedura dovrebbe chiudersi con l’ok del Cipe il 30 aprile 2004. Invece, tenetevi forte, il Cipe approva al progetto preliminare solo nel giugno 2012: 8 anni dopo.

Perché? Bisognava prevedere un tunnel a Mestre e risolvere il nodo stradale di Perugia: è il secondo aggiornamento. Presentato e approvato dall’Anas il 26 luglio 2005. I costi salgono a 13,3 miliardi.

Contrordine: bisogna ridurre drasticamente il contributo pubblico, facendolo retrocedere da 7,5 miliardi inizialmente previsti a 1,5. Il che comporta ipotizzare tre soluzioni alternative: Orte-Venezia, solo Orte-Cesena, solo Cesena-Venezia. Il 18 marzo 2008 la terza revisione del progetto è completata.

Non basta. Bisogna stralciare il nodo di Perugia: è il quarto aggiornamento, l’Anas approva il 27 marzo 2009. In queste condizioni il progetto ottiene il parere favorevole di Via il 21 ottobre 2010. Ma ci sono nuove richieste di interventi, che costringono il promotore al quinto aggiornamento. Approvato dall’Anas il 9 gennaio 2012. L’investimento scende a 9 miliardi 304 milioni di euro (defiscalizzati).

Il 20 giugno 2012 si va all’esame del Cipe, che ha 30 giorni di tempo per pronunciarsi. Non gli basta un anno. L’ok arriva l’8 novembre 2013. Tutto a posto finalmente? No, la Corte dei Conti ricusa il visto alla delibera per un vizio di forma. Per avere un’altra delibera del Cipe bisogna aspettare il 10 novembre 2014.

Da quel momento silenzio. Passa un anno e solo con un accesso agli atti il promotore scopre che il ministero delle Infrastrutture e trasporti ha deciso che non se ne farà più niente. Peggio: «Ha presentato una proposta di legge intesa a sbarazzarsi d’autorità del promotore, senza riconoscere i dovuti oneri».

Abbiamo scherzato?

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