La tempesta perfetta dei prezzi: ecco cosa sta accadendo in Veneto per aziende e famiglie

Il vortice dell’aumento dei costi finali spesso non ha una spiegazione economica ma di mercato. Dal caso dell’accaparramento delle farine a quello dei beni produttivi. Ecco come potranno reagire i consumatori finali e quali saranno i settori più colpiti dall’autunno degli aumenti

Ugo Dinello

VENEZIA. Il primo a lanciare l’allarme e, al tempo stesso, fare una facile profezia era stato Massimo Cacciari. L’ex sindaco filosofo aveva analizzato la crisi parlamentare del governo Draghi con una battuta che aveva fatto drizzare le orecchia a molto e accapponare la pelle ad altri. «Ma voi pensate davvero che Draghi se ne sia andato per una baruffa in Parlamento? Macché, lui sapeva benissimo che a ottobre l’Italia rischia il default e che gli aumenti dei prezzi provocheranno vere e proprie rivolte sociali. Quindi sapeva di non poter affrontare la situazione con personaggi ridicoli come Salvini e compagnia cantante».

Da dove parte la corsa pazza dei prezzi

La crisi energetica, madre di tutte le crisi, scatenata dal conflitto in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni europee e controsanzioni russe, ha offerto lo scenario perfetto per qualcosa che in realtà arrivava da più lontano.

Da almeno due anni molte materie base essenziali come i polimeri sono introvabili. Le industrie del packaging, cioè quell’immensa filiera sconosciuta che avvolge in carta, cartone o plastica ogni singolo prodotto che viene immesso sul mercato, da fine 2019 vive alla mezza giornata giornata. Nel senso che un’offerta per materiale base vale fino a metà giornata lavorativa, dopo non è più valida perché i prezzi si alzano.

Dallo stesso periodo l’acciaio e le plastiche resistenti (quelle in cui l’Italia era quasi primo produttore ma le cui produzioni sono andate via via dismesse specialmente in Veneto a Porto Marghera) hanno visto rialzi dei prezzi che, inevitabilmente, sono andati a scaricarsi sull’acquirente finale: il consumatore.

Il motivo era, ed è, il rastrellamento di alcuni prodotti da parte delle aziende di stato cinesi e comunque del sistema “huà ren”, cioè quello governato da aziende gestite da cinesi in tutto il mondo, ma che alla Cina popolare devono poi comunque rendere conto.

Idem per i famosi chip che hanno preoccupato tutto il settore dell’automobile (e il Veneto è una dependance della Germania) e della domotica (lavatrici, lavastoviglie ecc).

In questo scenario sbilanciato tra offerta e domanda su alcuni beni produttivi la crisi energetica (che non è la peggiore affrontata dal Vecchio continente da 30 anni a questa parte, cioè senza nemmeno contare la crisi petrolifera del 1973 che portò alle “domeniche a piedi”) si è inserita come il vaso di Pandora, quello che nella mitologia conteneva tutti i venti ma che, una volta aperto, era impossibile chiudere.

Cause ed effetti: la speculazione

La carenza di fonti energetiche è in parte la causa, ma in parte anche la scusa per l’aumento dei prezzi che è all’orizzonte e le cui avvisaglie si stanno manifestando già a fine estate è dovuta a calcoli di mercato e a vere e proprie speculazioni.

Persino la siccità ha portato il comparto agricolo a poter scatenare aumenti annuali nella filiera (quindi attenzione: nella filiera, non alla produzione primaria) che in alcuni casi (come le patata novelle) hanno raggiunto il 26,4 per cento al banco con una previsione che sfiora il 40 per cento in autunno, a fonte di un prezzo stabile alla produzione.

L’Adico ha calcolato l’aumento della spesa mediana, ovvero quella di una famiglia con reddito medio-basso, vale a dire la maggioranza dei nuclei veneti, al netto di coloro che possono permettersi di spendere cifre sopra la media. Se dunque nel 2021 (da gennaio a luglio) la spesa mediana era stata di 2.178,11 euro, nel 2022 è stata di 2.459,82 euro.

Dati preoccupanti che sono confermati anche dall’osservatorio sui prezzi del Ministero. Tanto per fare qualche esempio: a luglio di quest’anno l’insalata lattuga romana costa al chilo il 58,29% in più rispetto a luglio del 2021; le zucchine il 49,65% in più; i cetrioli salgono del 38% e le melanzane ovali del 33%.

Alcuni prodotti avevano avuto aumenti tali da scatenare l’accaparramento da parte dei grossisti anche se tale aumento non aveva alcuna reale motivazione.

Gli scaffali di farina e pasta vuoti lo scorso marzo in un supermercato di Mestre
Gli scaffali di farina e pasta vuoti lo scorso marzo in un supermercato di Mestre

Il caso: grano tenero e farine accaparrati per fare salire i prezzi

È il caso ad esempio del grano tenero e delle farine del tipo che tutti teniamo in casa. Gli aumenti erano stati giustificati con la guerra russo-ucraina e avevano superato il 43 per cento (attualmente secondo Adico sono al 21) per scendere non appena a livello politico alcuni esponenti avevano fatto notare come l’Italia importasse grano dall’Ucraina per il solo 4 per cento del fabbisogno nazionale. Eppure è bastato questo accenno alla sparizione di farina dagli scaffali (azione che meriterebbe un’indagine da parte della magistratura) per dare vita a un aumento ormai consolidato che supera il 20 per cento del prezzo iniziale: oltre un quinto del valore.

In ambito alimentare quindi il primo strumento di difesa è quello di comparare preventivamente i prezzi – cosa che molti fanno da sempre – e scegliere i negozi o supermercati che applichino quelli più bassi. Ovvio che in molti casi questo vada a scapito della qualità del cibo.

Cosa si troveranno davanti le famiglie e quali saranno più colpite

In questo quadro, quindi, le più penalizzate, cioè quelle con meno margine di manovra, saranno le famiglie. I consumatori si troveranno quindi in mezzo a un’incudine formata dalla minor speranza di vedere aumentare il proprio reddito (molte aziende infatti procederanno alla cassa integrazione guadagni) e alcune, come la Roncadin di Pordenone, specializzata in pizze surgelate, hanno dovuto sospendere le 100 assunzioni di cui l’azienda ha bisogno). Dall’altra parte ci sarà il pesante martello rappresentato dall’aumento generale del prezzo al consumo di ogni bene e servizio di prima necessità, dal cibo, al riscaldamento invernale, dall’energia elettrica ai libri di scuola dei figli. 

Per i testi scolastici l’aumento, secondo l’Associazione difesa consumatori è variegato a seconda del tipo di scuola. Per le scuole medie si arriva a 25 euro in più rispetto all’anno scorso. Uno studente del liceo scientifico porterà a casa una richiesta in aumento di 110 euro. Ma un studente del Classico arriva a 440 euro. Spese che però possono lievitare ancor più se nella lista dei libri di acquistare entrano uno o due vocabolari, solitamente pagati 80-100 euro ciascuno. Nei licei infatti è difficile anche l’acquisto di testi usati. Il ricambio di libri scolastica va da un minimo di 5 testi su 17 a un massimo di 15 su 18.

Esauriti i “bonus” erogabili da parte del futuro governo, le famiglie si troveranno quindi in balìa di se stesse. Non a caso pochissimi partiti durante la campagna elettorale hanno proposto ricette di tipo economico o sociale per fare fronte alla crisi, proponendo invece chi addirittura la fine delle sanzioni contro Putin per riavere il gas russo, chi il ricorso “ai fondi Europei” che però al momento sono solo per opere strutturali e che verrebbero immediatamente revocati in caso di uso non previsto dagli accordi.

Come potranno reagire le famiglie: comparazione e risparmio

La possibilità di risparmio sarà offerta dalla ricerca di eventuali prezzi migliori tramite comparazione preventiva, dalla contrazione delle spese voluttuarie e di beni pur necessari (stop a nuovi apparecchi, taglio degli abbonamenti televisivi, minori uscite, minori spese mediche, peggiore qualità del cibo, spostamenti di lavoro in gruppo dei pendolari, abbigliamento, acquisti di gruppo anche per i libri scolastici, ricorso all’usato) e dall’eventuale riduzione del consumo di servizi energetici (minore illuminazione, minor uso di apparecchi energivori e utilizzo di ciabatte elettriche - che comunque costano - per le apparecchiature sotto tensione).

Si tratterà insomma di “tirare la cinghia” accentuando quella spaccatura tra ricchi (che con le nuove flat tax all'orizzonte saranno sempre meno tassati) e poveri (che con la stessa tipologia di imposizione tributaria avranno meno servizi pubblici) e con l’ennesimo scricchiolìo della classe media, il cui reddito medio si sta paurosamente abbassando dall’inizio delle “liberalizzazioni” specie per quanto riguarda i nuovi contratti di lavoro.

Inevitabile comunque una ricaduta che l’ufficio studi della Cgia Confartigianato di Mestre ha già calcolato. Secondo il presidente di Cgia Venezia, Roberto Bottan, si stimano in condizioni di povertà energetica i nuclei familiari che non riescono a utilizzare con regolarità l’impianto di riscaldamento d’inverno e quello di raffrescamento d’estate a causa delle precarie condizioni economiche: nella sola provincia di Venezia sono tra un dato minimo di circa 23 mila e uno massimo di 38 mila. Complessivamente, pertanto, sarebbero a rischio tra i 51 mila e gli 85 mila residenti.

Ma va tenuto presente che questi dati sono stati ottenuti con proiezione dai dati Oipe, che però risalgono ancora al 2021, cioè ben prima della “tempesta delle bollette” dell’estate 2022. Il calcolo dei “nuovi poveri” non in grado di accendere abbastanza il riscaldamento potrebbe dunque aumentare.

Nell’identikit delle famiglie “vulnerabili” energeticamente presenti in provincia di Venezia, non troviamo solo nuclei con un elevato numero di componenti che risiedono in alloggi in cattivo stato di conservazione e isolamento termico, ma anche, e questa è la novità, le famiglie dei lavoratori autonomi. Secondo la Cgia, infatti, l’aumento esponenziale dei prezzi delle bollette previsto per il prossimo autunno potrebbe peggiorare notevolmente la situazione economica di tantissime famiglie, soprattutto quelle composte da autonomi.

Le aziende di fronte alla variabile energia: chi potrà difendersi e chi no

Dal punto di vista produttivo i più colpiti saranno gli artigiani e le piccole aziende energivore, cioè grandi consumatrici di energia. Pasticcieri, fornai, vetrerie artigiane si troveranno a dover far fronte a un innalzamento dei costi di produzione e a una minore propensione alla spesa da parte della clientela.

Così le vetrerie di Murano, con manodopera qualificata e poco numerosa, avevano lanciato l’allarme già ai primi rincari.  «Stavolta sarà peggio del Covid, rischiamo di non rialzarci più», aveva pronosticato giusto un anno fa, nel settembre 2021 Simone Cenedese, maestro vetraio da oltre trent’anni nell’azienda di famiglia che conta 20 dipendenti.  «Nel mese di settembre 2021» aveva spiegato Cenedese, «abbiamo speso 13 mila euro di metano. Con i rincari in corso, secondo i nostri calcoli a ottobre dovremmo arrivare intorno ai 60 mila euro».

Solo un intervento del governo era riuscito a scongiurare la chiusura. Ma ora che i fondi ancora “manovrabili” sono ormai agli sgoccioli e che la base su cui intervenire si è allargata l’inverno si fa buio.

Migliori margini hanno invece le grandi industrie, specie quelle cosiddette brand based, che cioè incentrano la propria strategia sul richiamo del proprio marchio, oppure quelle di beni essenziali per l’industria che abbiano una dimensione adeguata. Potranno infatti sospendere temporaneamente la produzione in attesa di un prezzo migliore.

Il caso delle Acciaierie Venete lo spiega bene: pur essendo una tra le aziende con il miglior portafoglio, cioè con ordini da parte dei clienti, quantitativamente e qualitativamente importante, ha chiesto la cassa integrazione per i suoi dipendenti, in modo da poterla usare immediatamente in caso di stop delle forniture per impennata dei prezzi fino a che non appaiano, magari nell’arco di poche ore o pochi giorni, forniture più abbordabili.

Rispetto al 2019, quindi, quando il kilowattora costava 57 euro, nel 2022 le industrie e gli artigiani si sono trovati con il kilowattora a 440 euro. Un’impennata di otto volte il prezzo iniziale cui ognuno risponde come può.

Ma i più piccoli (piccole e medie imprese) non hanno né la possibilità di accedere alla Cig, né quella di aspettare. E’ il caso degli alimentaristi e dei magazzini alimentari. Andrea Dal Pont, oltre ad essere titolare del negozio di frutta di piazza Vittorio Emanuele, a Belluno, è anche presidente del gruppo Alfa che rifornisce di generi alimentari i negozi al dettaglio non solo del Bellunese ma anche di altre zone del Nord Italia fino ai Lidi ferraresi. Il gruppo ha un magazzino a Busche dove vengono stoccati gli alimenti in due celle frigorifere per i surgelati, gli insaccati, i formaggi e in una cella per l’ortofrutta. Nel 2020 a luglio la bolletta era di 3.000 euro, nel luglio 2021 è salita a 3.600 euro. Il primo grosso aumento è scattato a ottobre 2021 quando è salita a 6.100 euro. Pochi giorni fa è arrivata quella di luglio: 12.000 euro. «Dove andremo a finire e soprattutto come possiamo andare avanti? O il governo interviene subito o molti piccoli negozi saranno costretti a chiudere», è sicuro Dal Pont.

L’altra grande incognita per le famiglie: trasporti e servizi alla persona

Dando quasi per scontati gli aumenti dei prezzi dei biglietti di treni e bus, dei carburanti così come quello degli abbonamenti per attività fisiche in impianti sportivi, una grande incognita grava su un settore oramai diventato irrinunciabile per decine di migliaia di famiglie: quello dell’assistenza agli anziani e delle persone non autosufficienti

«Gli aumenti dei prezzi dell’energia incidono tantissimo sulle rette degli ospiti», spiega Francesco Facci, presidente di Uneba Veneto, che raccoglie oltre un centinaio di strutture gestite da 96 enti che accolgono e offrono servizi a anziani non autosufficienti, persone con disabilità, minori con difficoltà familiari ed altre persone fragili. «Abbiamo fatto dei conteggi, poi è chiaro che ogni realtà analizza le proprie spese e svolge le verifiche del caso. Sta di fatto che alla Santa Tecla pagavamo di energia elettrica 200 mila euro e siamo passati a 400 mila euro».

Un aumento di 200 mila euro in una struttura di 200 persone consente un’operazione matematica abbastanza semplice: solo per la corrente, sono mille euro in più a persona. Costi che inevitabilmente si riverseranno sugli utenti finali: 3 euro al giorno, 90 al mese.

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