La terra e un aratro per dipingere i volti della storia

PADOVA. Iniziò tutto per gioco. Come nelle più grandi avventure. Nel gennaio del 2002 Dario Gambarin era a Monaco, in un negozio, a comprare tele e colori - un pittore sa sempre dove scovare buon materiale a basso costo. Tra un acquisto e un altro, vide una foto: un’opera d’arte tracciata in un campo di fiori. Un’immagine di land art. Lì ebbe la folgorazione. Artista, musicista, psicologo, avvocato, veronese di nascita e bolognese d’adozione, Gambarin guardò al suo futuro. Fece un sacco di domande al negoziante sui pro e i contro di quel modo di fare arte così originale. E tutto gli diceva di sì, che si poteva fare. In fondo lui era figlio di agricoltore, aveva lavorato la terra fin da quando era bambino. Ma nessuno a quel tempo gli aveva detto che sarebbe diventato il numero uno al mondo della land art.
Ci sono voluti dieci anni, il tempo necessario per affinare la tecnica dell’aratro, un po’ come per i pennelli. Di fatto, in quegli anni, tra il 2000 e il 2001, l’artista veronese aveva esposto le sue tele a Zurigo, a Monaco, a Istanbul, oltre che in Italia. Tornò a casa, a Castagnaro, nelle Grandi Valli Veronesi, e lì mise in moto il suo sogno. «In quei giorni» racconta «mio padre era andato al mare. Così presi il trattore e tracciai qualcosa sul terreno, un volto di donna, in 45 minuti. Quando lo vide mio padre mi prese per pazzo: avevo impegnato con il trattore circa 27 mila metri quadrati di terreno. Gli dissi di aspettare fino alle 9, alle 10 della mattina dopo, il tempo per scattare delle foto: avevo affittato un aereo e un amico russo avrebbe immortalato la mia opera dall’alto».
Da quel giorno Dario Gambarin capì quanto fosse potente quel modo di fare arte. Quanto energico, bello e anche simpatico fosse un disegno tracciato sulla terra che, anche solo al massimo per una settimana, riesce a comunicare al mondo intero. E non si parla di campi di grano che per essere modellati a dovere comportano la distruzione di una coltura, no. Qui si parla di terreni utilizzati in periodi di latenza, quindi di opere d’arte ecologiche, a impatto zero. Grandiose performance che appaiono e scompaiono a distanza di pochi giorni. E lasciano il segno.
Tra interviste a quotidiani nazionali e in trasmissioni televisive (Rai e Bbc), i volti tracciati da Dario Gambarin, insieme al suo trattore da 150 cavalli, diventano storia. Perché è l’unico artista al mondo che ha mai usato l’aratro per creare. E perché è anche dalla storia che Gambarin prende spunto per il suoi ritratti sul campo: Barack Obama (2009), Nelson Mandela (2010), i più recenti Papa Francesco e J. F. Kennedy. Scolpiti, sudati e maturati nella e con la terra. Volti grandi, grandissimi, dentro 25, 27 mila metri quadrati arati per ore, senza sosta. Con messaggi autentici, che vengono dal genio, dallo spirito e attraversano il nudo di un campo per dire: “Love liberates”, “l’amore rende liberi” accanto al volto del pontefice, oppure “Ich bin ein berliner”, frase storica pronunciata dal presidente Kennedy o ancora “The Hope is in the Land” nell’opera dedicata a Barack Obama.
Per Gambarin il pensiero nasce dalla terra, la attraversa e diventa arte, ritornando a essere puro spirito. Ecco perché ama dire: «Come l’aratro è fondamento di tutte le arti, così l’arte ritrova nell’aratro le sue fondamenta».Ed è anche così che si spiega il suo modo di creare: «La mattina presto, prima di cominciare, vedo il terreno, prendo l’aratro, e vado avanti e indietro come in una specie di meditazione, prendo le coordinate e poi inizio la mia opera».
È una concezione diretta, primordiale dell’arte, che scava in fondo all’anima restituendole vigore, energia nuova. Le immagini della land art di Gambarin hanno fatto il giro del mondo. E tra pochi mesi saranno stampate, insieme a una cinquantina di suoi aforismi sull’arte, in un catalogo prodotto dalla Balloon Express di Firenze.
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