“Lavaggio del sangue”, l’ansia delle famiglie

Centinaia di adolescenti del Padovano e Vicentino convocati in ospedale per la plasmaferesi 
MONTAGNANA. La plasmaferesi per “pulire” il sangue dai Pfas ha inizio. E con essa pure l’ansia di decine e decine di famiglie, alle prese con un problema – quello della contaminazione da perlfuoroalchilici – dai connotati ancora troppo nebulosi. In questi giorni centinaia di adolescenti vicentini e padovani stanno ricevendo l’invito a presentarsi agli ospedali di Vicenza e di Padova per aderire, volontariamente e gratuitamente, ad una procedura terapeutica dedicata alla pulizia del sangue. Gli adolescenti di Lonigo sono stati i primi ad essere stati sottoposti agli esami per rilevare o meno la presenza di Pfas: la plasmaferesi permette la separazione del plasma, la componente liquida del sangue in cui si trovano disciolti i Pfoa (il composto preso come elemento di riferimento), dalla parte cellulare. Il sangue viene filtrato in questo modo: il prelievo avviene come qualsiasi altro normale prelievo del sangue, da cui viene isolato il plasma grazie ad un separatore cellulare; il plasma viene sostituito da una soluzione fisiologica, e si restituiscono piastrine, globuli rossi e bianchi, lasciando fuori dalla soluzione i Pfoa. L’operazione verrà ripetuta sei volte a distanza di 15 giorni e durerà ogni volta circa mezz’ora. Due sono i centri di riferimento: all’ospedale di Vicenza accederanno tutte le persone che, ai test dello screening in corso, hanno rivelato concentrazioni di Pfoa fra i 100 e 200 nanogrammi, mentre a Padova andranno i pazienti con valori superiori ai 200.


Il vantaggio di questa procedura sta nel riuscire a ripulire grandi quantità di sangue nel giro di poco tempo. La Regione ha testato la plasmaferesi da Pfas su un cittadino volontario: questa iniziativa – coordinata da Alberta Alghisi del Centro di medicina trasfusionale del San Bortolo di Vicenza – ha previsto 5 sedute di plasmaferesi e già dopo 3 aveva rilevato una riduzione di Pfoa del 33%. I test limitati (una campagna di questo tipo è rintracciabile soltanto in Canada, tre anni fa) sono uno dei motivi che più preoccupano i genitori dei ragazzi che in questi giorni sono chiamati alla plasmaferesi. «Per noi questi inviti sono motivo d’ansia», confessano le mamme del Comitato Zero Pfas Montagnana «in letteratura scientifica non si trovano dati incoraggianti sull’utilizzo di tale procedura, che è evidentemente invasiva. Lo stesso Domenico Mantoan, direttore della Sanità della Regione, ha dichiarato che questo sarà un caso che farà scuola Stiamo tutti partecipando ad un immenso studio clinico per valutare l’efficacia di un trattamento per il quale non esistono sufficienti dati in letteratura scientifica – li creeremo noi e i nostri figli – e per il quale non risulta l’esistenza di alcun comitato etico che agisca come organismo di controllo».


Il comitato di genitori contesta anche i costi elevati dell’operazione: «La Regione parla di una spesa di 15 milioni per il primo anno. Un opuscolo fornito dall’Ematologia di Padova, in riferimento alla plasmaferesi, spiega che “il costo di un trattamento è in genere molto alto, anche per questo motivo, l’aferesi terapeutica va applicata solo nei casi in cui vi siano indicazioni precise e consolidate, proprio per non sprecare risorse che hanno costi sociali elevati”. Non costerebbe meno fornire a tutti i bambini e ragazzi dell’”area rossa” acqua pulita da subito? ».


Resta ora da capire quanti dei duemila convocati, questa l’entità stimata di pazienti che possono accedere alla plasmaferesi, aderiranno alla proposta della sanità regionale.


Nicola Cesaro


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