Leonardo Lovo, il contabile veneto che teneva i conti della 'ndrangheta

RONCADE. Un’organizzazione invisibile ai più, che solo attraverso le attività d’indagine della Dda di Venezia è emersa dall’anonimato dei quartieri di periferia e delle opache prassi contabili. Tra gli arrestati dell’ultima operazione anti ’ndrangheta in Veneto, emerge anche il nome dell’imprenditore Leonardo Lovo: 48 anni, originario di Camposanpiero formalmente residente nel Veneziano a Campagna Lupia, di fatto da un paio d’anni trasferito a Biancade, nel trevigiano, frazione di Roncade.
È in carcere da ieri mattina, accusato di associazione per delinquere aggravata dal fatto di aver favorito l’associazione mafiosa: secondo la Procura Antimafia è uno dei tre imprenditori veneti che facevano affari con i fratelli Bolognini, emissari della cosca ’ndranghetista Grande Aracri, per riciclare il danaro provento degli illeciti del gruppo, attraverso un vorticoso giro di false fatturazioni.
Difeso dall’avvocato Fabio Crea, aprirà oggi la fila degli interrogatori di garanzia davanti al gip Stigliano Messuti e potrà difendersi dalle accuse o avvalersi della facoltà di non rispondere. Stando all’ordinanza cautelare firmata dal gip, Lovo era al servizio del “giro nero” insieme all’amico Adrano Biason (54 anni di Piove di Sacco).
Quest’ultimo avrebbe messo a servizio dell’organizzazione come “cartiere” di fatture false, società che amministrava di fatto insieme a Lovo, come la Biasion group e Biasion Adriano Srl, nel campo dell’edilizia. Entrambi - secondo la Procura - sarebbero poi stati gli amministratori di fatto anche di una rosa di società utilizzate nei raggiri e, ufficialmente intestate ad altri: 82 gli episodi loro contestati.
A parlare di un giro di riciclaggio di danaro sporco di 200-250 mila euro al mese è stato il pentito Giuseppe Giglio, che con quel danaro - insieme a Sergio Bolognino, a capo del braccio veneto della cosca - pagava le false fatture emesse dagli imprenditori compiacenti: «Giglio», scrive il gip nella sua ordinanza, «riferiva innanzitutto di aver intrattenuto rapporto soprattutto con Leonardo Lovo, Andrea Biasion e F. S., specificando che - in alcune occasioni - il danaro non era riferibile direttamente alla famiglia Grande Aracri, ma ad altri soggetti che avevano disponibilità del contante».
Come funzionava il sistema? Biasion è accusato di aver da una parte trovato la rete di imprenditori disponibili a vendere servizi fittizi alle aziende della cosca, dall’altra di aver emesso direttamente fatture false con le società che amministrava con Lovo.
I due ricevevano il danaro da Giglio, lo davano a una delle società compiacenti (non senza aver prima trattenuto per loro alla fonte dal 7 al 10 per cento della somma), che acquistavano a loro volta falsi servizi da una delle imprese direttamente gestite dalla cosca: così i soldi tornavano all’origine.
Finché l’Iva era agevolata al 10% - secondo l ’accusa - questo era il loro guadagno, ma quando l’aliquota su alcune voci venne portata al 22%, il compenso per Lovo, Biasion e F. S. è sceso al 7%. Un bel po’ di soldi comunque, stando alle confische disposte dal giudice per le indagini preliminari su richiesta della Procura antimafia, pari ai guadagni illeciti contestati: 3,249 milioni a carico di Lovo per i profitti da riciclaggio, più altri 2 per i reati fiscali, altrettanto a carico del “socio” Biasion; 1,6 in capo al mestrino Federico F. S. per riciclaggio e 1,1 per i reati fiscali, più cifre minori a carico degli imprenditori che fornivano loro i falsi servizi.
Al civico 2 di via Rossi a Roncade, dove ieri mattina all’alba è scattata l’operazione della Dda, il nome di Lovo non compare neppure nei citofoni, né nella cassetta delle lettere. Nessuno dei condomini lo conosce: «Alle cinque, qui davanti in strada», commenta una delle inquiline, «c’era una pattuglia di carabinieri». Di Lovo, però, i vicini non sembrano sapere nulla: invisibile, come (fino a ieri) i raggiri della ’ndrangheta a Nordest. —
R.D.R.-M.MA
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