Lettera di un figlio al padre morto solo in ospedale, senza l'ultimo abbraccio

Per chi ha vissuto di relazioni aperte e inclusive, per chi nella propria vita ha fatto del contatto umano il fulcro, il fondamento, è veramente dura, anzi durissima
13.10.20, Torino, Ospedale Molinette, "Città della Salute"
13.10.20, Torino, Ospedale Molinette, "Città della Salute"

Sembri proprio il tuo papà 

C'è chi ogni tanto mi dice: certo che assomigli proprio a tuo papà, ti muovi e parli come lui. Ti ho riconosciuto da lontano.

Quante volte qualcuno di noi se lo è sentito dire da qualche amico di famiglia o da qualche parente che ogni giorno ci capita di incontrare e magari non si sa neanche chi sia.

Capita di solito da giovani, da ragazzi e il primo istinto è non farci caso o di considerare quelle affermazioni come mere frasi di circostanza.

Poi però vedi tuo padre e in qualche modo vorresti essere come lui, fare il mestiere che fa lui, essere amato quanto è amato lui. Praticamente da tutti.

Se ne è andato il mio papà, un uomo tosto, tutto d'un pezzo. 

Un male cattivo da anni, la situazione che precipita, lui che lotta e da ultimo cede e si fa accompagnare amorevolmente nell’ultimo tratto da angeli in camice. Una nuova modalità di congedo dalla vita che abbiamo appreso nella pandemia rispondendo in solitudine (quasi) ai necessari protocolli per proteggere tutti coloro che gli stavano attorno.

Nasce in una strada davanti al Santo, in un doppio occhio di portico. Una famiglia con il cognome scolpito sopra al campanello fuori dal portone. Famiglia numerosa, lui ultimo figlio di cinque amatissimi fratelli, educazione nella Scuola di religione dei Gesuiti, quella che ora non c'è più, purtroppo, all'ombra dei Tre Pini. Gli scout, la passione per la montagna.

È lì all’Antonianum che credo abbia affinato il suo animo buono, tra i Padri e i Fratelli, tra i quali il mitico Fratel Fiocchi che ogni tanto gli prestava la Lambretta per fare un giro con chi poi sarebbe entrata per sempre nella sua vita. Poi lo sport, il basket, sempre lì in quell'angolo di mondo cattolico, influente nella Padova borghese degli anni ‘50 e ‘60.

Si fa il mazzo da ultimo figlio, ha la fortuna di studiare iniziando al biennio Ingegneria e poi finendo a Statistica a Roma con un inscindibile gruppo di veneti pazzi. Una carriera la sua come quelle che oggi non si fanno più. Tutta nella stessa azienda, fino alla pensione. Poi l'impegno associativo per gli ex colleghi dirigenti, instancabile al fianco chi nel suo percorso professionale ha bisogno di un aiuto, di una parola, di sostegno.

Tutto ciò condito da un amore viscerale e spassionato per il prossimo, per tutta la famiglia per quell'unico nipotino che ha coccolato in tutti i modi che conosceva anche solo con un sorriso dal suo letto d'ospedale pochi giorni fa.

Non è mai semplice salutare chi ci lascia, sono momenti duri densi delle più diverse emozioni, di ricordi, di lacrime e di sorrisi.

Papà ha intrapreso il suo ultimo viaggio e lo ha fatto nei giorni in cui siamo chiamati ad alzare nuovamente il livello di guardia rispetto alla pandemia.

Sono mesi che ci esprimiamo in sorrisi, espressioni di vicinanza, o di dolore da dietro una mascherina e anche il momento dell'ultimo abbraccio terreno dovrà purtroppo essere limitato nei numeri di chi potrà esserci in presenza ma non sicuramente di chi vorrà esserci con l’anima. 

Per chi ha vissuto di relazioni aperte e inclusive, per chi nella propria vita ha fatto del contatto umano il fulcro, il fondamento, è veramente dura, anzi durissima.

Ma questa è la realtà di oggi e sono certo che lui da dove si trova ora sentirà ogni pensiero e ogni ricordo di chi avrà dedicato anche un semplice sorriso riprendendo un momento trascorso insieme.

A chi mi scambia per lui nelle sembianze, il mio cuore oggi dice che vorrei tanto assomigliargli, veramente.

Ciao papà, buon viaggio.


 

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