«L’ho visto spegnersi nel tempo inerme, con un mezzo sorriso»

il ricordo
Lo ha seguito con amore, in silenzio, andando quasi ogni giorno a trovarlo durante i 15 anni della sua malattia. Aiutandolo a mettere insieme i manoscritti del suo ultimo libro. Un fratello che si è occupato di lui, fine intellettuale, anche nel momento in cui la malattia lo aveva trasformato in un corpo inespressivo e apparentemente insensibile. Con lui, un sodalizio che durava da molti anni. E una forte sintonia intellettuale. Massimo Cacciari riorda: «L’ho visto l’ultima volta due giorni fa, pesava venti chili, un morto che respirava. Un dolore grande vederlo così. Credo che per lui alla fine la morte sia stata una liberazione, ma per noi è una grande perdita. Perché al di là dell’affetto e dell’amicizia, Daniele è stato un grande scrittore. Ha segnato la letteratura italiana negli ultimi decenni. Tante sono le sue opere di pregio: la migliore forse, e a mio parere, è “Atlante occidentale”, assieme alle novelle. Uno stile inconfondibile, una scrittura unica».
Daniele Del Giudice in laguna ha segnato iniziative importanti. Come la rassegna letteraria “Fondamenta”, promossa dal Comune, ideata proprio con Cacciari e con l’allora assessore alla Cultura Mara Rumiz.
I primi sintomi della malattia, il morbo di Alzheimer, nel 2005. Aveva sono 56 anni. Un decadimento costante, inarrestabile. «Nel Natale del 2011, dieci anni fa, si era aggravato. Fino a quel momento era ancora in grado di leggere, sillabava lentamente le parole. Negli ultimi cinque, sei anni Daniele non c’era più».
Cacciari continuava le sue visite. Con un gruppo di amici all’inizio aveva anche raccolto del denaro, le somme necessarie per pagare il ricovero nella struttura specializzata delle Zitelle. Poi era arrivato il riconoscimento dello Stato, il vitalizio previsto della legge Bacchelli per gli artisti in difficoltà.
Del Giudice si è spento lentamente. Negli ultimi anni non riconosceva più nemmeno gli amici più stretti. Lo sguardo nel vuoto, mezzo sorriso: «Una cosa terribile» ricorda Cacciari. E riflette: «È una malattia che ti annienta. Continuano a fare ricerca ma i risultati non arrivano mai. Credo che si dovrebbe fare di più per queste epidemie che rovinano la vita come il cancro e l’Alzheimer. Spendere soldi per la ricerca. Invece ci si accontenta di sopravvivere, non si sa come».
Nei mesi scorsi a Del Giudice era stato conferito il premo Fondazione Campiello, un premio alla carriera che non avrebbe comunque potuto ritirare di persona e che domani, nella serata finale del Premio, gli sarà comunque tributato; nella motivazione si legge che lo riceve perché ritenuto «uno dei più importanti scrittori contemporanei». «Un’idea di Walter Veltroni, presidente della Giuria del Campiello, che abbiamo molto apprezzato», dice Cacciari, «Daniele se lo meritava». E conclude, amaro: «In pochi giorni Venezia ha perso due suoi cittadini illustri, Gino Strada e Daniele Del Giudice. Due persone impegnate, con la stessa passione civile, la stessa intelligenza. A Venezia erano una presenza importante, abbiamo fatto insieme cose di livello. Adesso se ne sono andati, insieme. Dovremo ricordarli come meritano». —
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