L’hub medico per trans: il fantasma che aleggia in Veneto da 29 anni

PADOVA. Doveva essere il primo Centro per il cambio del sesso in Veneto, una scelta di “scienza e modernità”, come la definì l’allora assessore alla Sanità veneta Luca Coletto.
Era il 9 dicembre 2017. Cinque anni dopo quel centro non esiste e una persona si è tolta la vita, forse anche a causa di un vuoto nella rete di contenimento sociale di questa regione.
Allora forse vale la pena ripercorrere a ritroso la storia amministrativa del Veneto, per capire come può essere stata ignorata per tutto questo tempo una legge portata in consiglio regionale nel 1993 e, allo stesso modo, come può essere sparito un progetto così ambizioso.
La legge, innanzitutto. Fu portata in consiglio durante la presidenza di Giuseppe Pupillo, unico governatore del Veneto iscritto a un partito di sinistra, il Partito democratico della sinistra. Venne votata tra maggio 1993 e maggio 1994 ed era una legge all’avanguardia, perché stabiliva che il cambio di sesso fosse una prestazione a carico della sanità pubblica. Tuttavia, non ha mai trovato una concreta applicazione. E infatti scompare nelle nebbie della politica. Riemerge 24 anni dopo, nel 2017. La Casa di Cura di Abano era stata individuata come la struttura giusta per ospitare una sorta di hub per pazienti transgender.
«Credo si sia semplicemente ingrippato l’iter ma non c’è niente di ideologico in questo, era semplicemente una questione di scienza e medicina», dice Luca Coletto, leghista, ex assessore alla Sanità del Veneto, ora in Umbria con lo stesso ruolo. Il centro avrebbe dovuto seguire i pazienti passo dopo passo, prima dell’intervento chirurgico e anche dopo. Ad Abano avrebbe dovuto operare un team multidisciplinare formato da psicologi, urologi, internisti, specialisti, chirurghi estetici ed esperti di ematochimica.
«Noi eravamo convinti che fosse un filone strategico per evitare la cosiddetta mobilità passiva: veneti che vanno altrove a curarsi ma per cui bisogna pagare la regione ospitante. Ricordo che il provvedimento passò in giunta, stanziammo un finanziamento ma un anno dopo sono andato al Ministero, quindi non so che fine abbia fatto quel progetto».
Coletto esclude che il suo tramonto sia dovuto alle barricate erette dal compagno di partito Nicola Finco e da Elena Donazzan, come testimonia più di qualcuno. L’attuale assessora alla Sanità del Veneto Manuela Lanzarin, contattata, non ha voluto rispondere.
Fortunatamente ci sono altri protagonisti di quella vicenda che possono aiutare a capire cosa è successo. Uno è certamente Nicola Petruzzi, presidente della Casa di Cura di Abano. «La disponibilità c’era e c’è» puntualizza il manager. «L’attività non è mai partita perché non fu mai organizzata la cornice normativa necessaria. Il progetto non ebbe seguito e noi non abbiamo mai ricevuto quel finanziamento. Restiamo disponibili al confronto con la Regione Veneto». La cornice normativa a cui si riferisce Petruzzi è quella che consente di identificare come una prestazione di sanità pubblica il cambio di sesso. Servono una perizia psichiatrica e il successivo intervento per ridurre il disagio psichico. Insomma, è un percorso terapeutico vero e proprio, al termine del quale serve anche l’intervento del tribunale. Sostanzialmente non fu mai predisposta la “macchina” con tutti gli attori previsti dalla legge.
Vanessa Camani, vicecapogruppo del Pd in Regione, ha presentato un’interrogazione per sapere «quali azioni intenda intraprendere la Regione Veneto per applicare la legge regionale 22/1993 e per contrastare le discriminazioni di genere sul posto di lavoro».
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