«L’idea non è da bocciare»

Patrizia Burra: quell’anagrafe vale come un sondaggio
Patrizia Burra
Patrizia Burra
Patrizia Burra è ricercatrice di enterologia all’Università di Padova e presidente della Fondazione Marina Minnaja: incarichi, qualifiche e sapere che l’hanno portata ad occuparsi con competenza di problemi di bioetica, con un convegno che qualche mese fa ha visto la partecipazione di monsignor Rino Fisichella, nelle vesti di «relatore unico» al Bo.


Dottoressa Burra, qual è la sua opinione sull’iniziativa di costituire a Padova un registro, un albo in cui inserire le proprie volontà che sarebbero così certificate, in caso di situazioni cliniche gravi? Secondo gli artefici dell’iniziativa non si imporrebbe niente a nessuno, sarebbe solo l’offerta di uno strumento legale, banalizzando, un sì o un no al cosiddetto accanimento terapeutico, brutta espressione, ma assai significativa.
«Secondo me, come cittadina prima che come medico, l’idea non è da rigettare. E’ stato fatto anche in altre città, da Firenze a Vicenza. Il problema è che valore dare a queste espressioni di volontà. Tenga presente che questo problema, delicatissimo e complesso perché riguarda la vita umana, coinvolge anche un’ampia gamma di specialisti, dal medico al bioeticista, dal ricercatore al politico, all’avvocato al magistrato. Per cui questo albo o registro avrebbe il peso e il valore di un sondaggio. Così lo vedo. Tenga presente anche che si determina un processo di autoselezione spontaneo perché chi risponde a questa domanda è la persona gravemente malata e la sua famiglia, non tutti. Il risultato è molto simile a quello che si otterrebbe organizzando una serie di interviste. Un sondaggio, quindi, utile a far emergere una linea di tendenza di cui si dovrà tener conto, ma non a risolvere il problema».


E il problema come si risolve?
«Occorre organizzare un tavolo il più ampio possibile che metta insieme medici, psicologi, specialisti in materie giuridiche, il mondo delle specializzazioni e quello del pensiero. Noi di gastroenterologia, come d’altra parte molti altri colleghi, siamo estremamente sensibili ai problemi, alle questioni cruciali che si pongono nel transito dalla vita alla morte, a quale sopravvivenza, a prezzo di quale sofferenza. Il nostro direttore, professor Giacomo Carlo Torniolo è sceso in campo in veste di organizzatore e al Centro Congressi Papa Luciani è previsto un ampio confronto dal titolo «Etica in gastroenterologia» a cui parteciperà il professor Zatti. Credo importante una riflessione collettiva su tutti gli aspetti del problema. Vorrei ricordare che l’incontro organizzato con monsignor Rino Fisichella, che ebbe lo strascico di qualche polemica, riguardava esclusivamente il rapporto con la ricerca».


D’accordo, finché non sarà varata una legge nazionale, si determinano pesanti elementi di incertezza. Diciamo anche che c’è bisogno di una scelta preventiva perché il malato terminale non è più in grado di esprimere quello che pensa. E, tuttavia, esiste una norma della Costituzione, precisamente il secondo comma dell’articolo 32, che recita: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Lei che ne pensa?

«E’ vero, questo è il dettato costituzionale. E’ una norma giuridica fondante ed è generale ed astratta e quindi deve essere applicata di volta in volta a una fattispecie concreta. Ma abbiamo anche messo in evidenza che il tema della vita umana che ci troviamo davanti, gli elementi di complessità che affiorano e che coinvolgono i pazienti e le loro famiglie e i medici e il personale che li curano, sono tali da imporci una riflessione preliminare a tutto campo ed è quello che abbiamo in animo di fare.


Quindi, oggi, in mancanza di una legge ad hoc, le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario non rappresentano che il rafforzamento di una manifestazione di volontà. Non che questo sia negativo, non che questo sia inutile, ma non basta».

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