lotta alla pandemia con stile british e la filosofia dell’utilitarismo
Ma son proprio pazzi, questi inglesi? La domanda se la saranno fatta in parecchi, vedendo come si sta comportando il Regno Unito in queste settimane di fronte al Coronavirus.
L’anomalia inglese stupisce molti, in controtendenza com’è rispetto al resto dell’Europa e del mondo: lasciare circolare il virus, col rischio che si creino possibili varianti, senza intervenire più che tanto, dopo la pur massiccia campagna vaccinale, considerando ormai in certo senso endemica la presenza del virus. Anche se i contagi sono tanti, i morti sono pochi e la pressione sul sistema sanitario britannico è sopportabile. La Gran Bretagna non è “chiusa per virus” ormai da mesi. E tutto sembra tornato ad una sorta di normalità pre-pandemica. Nei giorni scorsi i contagi sono saliti a 50.000 al giorno, poi scesi a 30.000. Nessun allarme rosso da quelle parti, anche se un dibattito si è aperto nel Regno Unito. Il Pil intanto sta crescendo al ritmo del 6.5%. E questo è l’altro lato della medaglia.
Non è solo flemma inglese, e nemmeno idolatria per l’ideologia liberal-liberistica. La filosofia ci aiuta a capire. Perché è ancora una volta alla visione filosofica che caratterizza la cultura britannica da almeno un paio di secoli che bisogna rivolgersi per capire, all’utilitarismo di Jeremy Bentham e di John Stuart Mill. Il principio etico fondamentale dell’utilitarismo è quello per cui è moralmente buono un atto se le sue conseguenze apporteranno “il maggior bene per il maggior numero” di persone, rispetto a quanto accadrebbe se quel comportamento non venisse messo in atto. È un calcolo, dunque, che guarda alle conseguenze, quello che l’utilitarismo prescrive. Ed è un calcolo spesso molto difficile da farsi. Come nel caso di fronte a cui ci troviamo. Siamo sicuri che lasciare circolare il virus, con la percentuale di contagi costantemente così alta, avrà conseguenze migliori per la società britannica di quanto non sarebbe una campagna più rigorosa contro l’infezione, con tutte le restrizioni sociali del caso, come quella che nel resto dell’Europa si sta facendo?
Il modo di ragionare “utilitarista” non dà certezze incrollabili, ma formula soltanto ipotesi “ragionevoli”, di carattere probabilistico, che il nostro agire sia quello moralmente più “giusto”. Non fa entrare in gioco nessun valore morale assoluto, “non negoziabile”, se non il principio etico del fare il massimo bene possibile nelle condizioni date. Fare “girare” al massimo l’economia evitando rallentamenti della crescita dovuti alle azioni di prevenzione della circolazione del virus è un risultato significativo, anche dal punto di vista etico oltre che politico, perché contribuisce a migliorare le condizioni di vita, cioè il benessere, di tutti i cittadini.
La logica “utilitaristica”, quella del bilanciamento dei risultati delle nostre azioni in vista del raggiungimento di un “bene (relativamente, non in assoluto) maggiore”, è assai meno spregevole di quanto non possa sembrare a prima vista. Ed è aperta a soluzioni tra loro anche diverse delle questioni etiche e politiche, data la difficoltà del “calcolo” delle conseguenze delle nostre azioni. E’ una logica “pluralistica”, non dogmatica, degna di una società “aperta”. Questi inglesi, forse, non sono poi così pazzi. Anzi, forse hanno anche qualcosa da insegnarci. —
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