Luciano Benetton e Oliviero Toscani, quarant'anni di matrimonio con due divorzi
La storia del sodalizio fra il patron di Ponzano e il creativo milanese che si è interrotta di nuovo dopo l'uscita choc sul Ponte Morandi

Le famiglie felici si assomigliano fra loro, quelle infelici lo sono ciascuna a modo suo. L’incipit di Leone Tolstoj in Anna Karenina potrebbe essere il ritratto della famiglia Benetton allargata a Oliviero Toscani, l’anima dissacratoria e irriverente di un gruppo che nel dubbio ha scelto di farsi rappresentare da un fotografo che nelle foto di gruppo di Ponzano Veneto stona come le vecchie zie inacidite nei quadri familiari dei pittori inglesi dell’800.
FOTO E PAROLE DI TROPPO
Toscani dovrebbe fotografare e tapparsi la bocca. Il suo genio sono le immagini, la sua maledizione le parole. E non poteva essere diversamente per uno che comincia a immortalare i sanbabilini e i compagni di avanguardia operaia nella Milano livida del ’68. Toscani gioca a fare il leader da quel dì, e per questo non ha mai smesso di sciommiottare Adriano Sofri e Mario Capanna, personaggi discutibili quanto si vuole ma che la leadership la incarnavano prima di tutto con gli sguardi e i movimenti del corpo. Una facoltà che non gli appartiene ma che Oliviero coglie magicamente negli altri. Dovrebbe essere felice di questo talento, invece diventa il suo cruccio. La parola per lui racchiude il potere, la conoscenza e la capacità introspettiva. Una triade che impara a conoscere con l’aiuto di papà Fedele, fotoreporter del Corriere della Sera in una Milano che annega i postumi della seconda guerra mondiale appassionandosi alle storie di cronaca nera narrate dal bellunese Dino Buzzati. Quelle di Toscani sono parole manipolatorie, da lìder maximo, che devono frantumare tabù. Per riuscirci ci vogliono le idee, la cultura, una sapienza da alchimista. Per questo Oliviero ama due generi di persone: i muti, come Luciano Benetton, uno che maneggia le parole come se fossero ordigni, oppure coloro, come qualche amico giornalista che passeggia con lui a Castagneto Carducci, in Toscana, con la rara capacità di scarnificare e reidratare le parole fino a estrarne sequenze di pensieri originali.
LUCIANO IL MUTO
A decretare il successo di Toscani è Luciano il muto. Oliviero frantuma tabù quando la suora bacia in bocca il prete e quando, nel 2000, sbatte in faccia a milioni di benpensanti gli occhi persi nel vuoto dei condannati a morte nelle carceri degli Stati Uniti. È troppo anche per i Benetton. Il sodalizio naufraga. il contrasto sembra insanabile. Oliviero cerca sempre l’aggancio con la politica, i Benetton lo aborrono. Ma c’è di più. A Ponzano ha solo un leale alleato: Luciano: Gilberto e Carlo lo dipingono come qualcosa di molto simile a un clown. Sbagliano. Oliviero è una fucina di idee. Dal mensile Colors, la prima rivista che racconta tutto quello che in pochissimi avevano osato chiedere, a Fabrica, una sorta di incubatore di giovani artisti.
DA COLORS A FABRICA
Anche da direttore editoriale Olivero mostra il suo estro creativo, che è tanto più potente se comunica solo attraverso gli innumerevoli strumenti che non siano la parola parlata. Quando va in tv è un disastro. Incespica e spara sulla croce rossa.+
«VENETI UBRIACONI»
Una delle ultime infelici battute: «i veneti, quando parlano, sembrano ubriachi». Non pago, lo teorizza. E ne fa una questione di genìa. «Ignoranti, beoni ed evasori». È il pendolo di Toscani: dalla limpidezza di immagini che obbligano a riflettere (impeccabili le campagne sull’omosessualità e l’anoressia) alle chiacchiere da bar. A fulminarlo un anno fa è la figlia maggiore: «Da bambina l’ho sempre sentito imprecare contro di noi e la nostra vita, bestemmiando». Sono parole che lo inchiodano a pesanti responsabilità. È il passo prima del precipizio.
IL PASSO DEL PRECIPIZIO
Torna in tandem con Luciano nel 2018, con la canizie della saggezza e le quasi 80 primavere sulle spalle. Prima invita le sardine a Fabrica, di fatto “suicidandole”, poi, in uno dei momenti di irrefrenabile logorrea, la frase autodistruttiva a proposito del crollo del ponte di Genova: «Ma a chi interessa che caschi un ponte, smettiamola». Irrompe in scena un Oliviero bilioso che con ogni probabilità ha alzato il gomito oltre ogni misura. Il primo a prendere le distanze è Alessandro Benetton. Segue a ruota suo padre Luciano, sostenuto all’unisono dall’intero gruppo. «Toscani non ci rappresenta, impossibile continuare il rapporto di collaborazione».
Due settimane fa Gianni Mion, plenipotenziario della famiglia di Ponzano, aveva scolpito le parole sul granito: «Con Autostrade per l’Italia abbiamo commesso errori colossali». Era un’epigrafe non un tabù da distruggere. Le ammissioni di colpa si rispettano, soprattutto quando di mezzo ci sono 43 morti. Toscani ha usato un lanciafiamme che invece avrebbe dovuto rivolgere verso le sue parole. O, ab origine, verso i suoi contorti processi mentali. —
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