M5S, l’inghippo della croce fra i riquadri: «Voti annullati ingiustamente»

PADOVA. «Non è possibile che dal consiglio regionale venga escluso un partito che ha superato il 3 per cento ed entrino invece liste con meno del 2: così si calpestano la democrazia e la rappresentanza reale del voto». Il M5s non ci sta ad essere escluso da Palazzo Ferro Fini e prima di avviare il ricorso al Tar attende la proclamazione degli eletti, competenza assegnata alla Corte d’appello di Venezia. In tribunale è già iniziato il controllo delle schede, operazione complessa visto che alle urne ci sono andati 2.452.523 cittadini, pari al 61,7% degli iscritti alle liste. Il verdetto è atteso entro martedì prossimo. Enrico Cappelletti, candidato presidente grillino, conferma piena fiducia nella magistratura e spera che la revisione delle schede possa riservare piacevoli sorprese.

Lui ha raccolto 73.615 consensi pari al 3,3 per cento e la lista ufficiale del M5s si è fermata a 55.240, pari al 2,7%. I simboli erano identici e migliaia di elettori hanno impresso una croce a cavallo tra i due riquadri. Così tantissimi voti sono stati annullati. «Credo ci siano tutte le condizioni per superare questo brutto pasticcio che rischia di penalizzare il M5s che in Veneto svolge un ruolo fondamentale di opposizione a Zaia. I due simboli sono identici e va sempre interpretata la volontà dell’elettore. Chi ha messo la croce a cavallo della scheda voleva certamente esprimere il consenso al M5S. La legge rifatta nel 2018 è scritta male, basta aggiungere una sola riga: la soglia del 3% vale per la lista e anche per il candidato presidente quando si presenta con un solo partito e quindi non scatta lo sbarramento del 5% previsto per la coalizione”. Questa tesi verrà accolta dall’ufficio elettorale della Corte d’appello?

Non resta che attendere il verdetto anche se l’ufficio elettorale della Regione sottolinea che nel 2010 si presentò un caso analogo. avid Borrelli, sceso in campo per il M5s con il consenso di Beppe Grillo, raccolse 80.246 voti pari al 3,1% ma la lista si fermò al 2,6%. E non ci fu verso di entrare a palazzo Ferro Fini. Qualche anno dopo, Borrelli fu eletto al parlamento europeo, da cui è decaduto nel 2019, al termine di un divorzio politico clamoroso legato ai mancati rimborsi elettorali. Ora fa l’imprenditore nel settore dell’informatica.
Nel 2015 è sceso in campo Jacopo Berti e il risultato fu straordinario: il 12% al candidato presidente, tenace avversario di Luca Zaia, Alessandra Moretti e Flavio Tosi, mentre la lista 5 stelle si fermò al 10,8%. Cinque i consiglieri, con una legislatura di scontro frontale con la Lega sui temi caldi, dai Pfas alla Pedemontana. Berti non si è ricandidato, fa l’imprenditore nel settore dell’informatica e si augura che la Corte d’appello di Venezia ponga rimedio a una legge pasticciata, scritta male dalla Lega per creare difficoltà alle minoranze. Resta da capire perché lo staff del M5s non abbia adottato le giuste contromisure spiegando ai propri elettori dove tracciare la croce per evitare equivoci: la matita non è il mouse e il seggio non va confuso con la piattaforma Rousseau. —
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