Mala del Brenta, Pandolfo, l'ex braccio destro del boss: "Maniero può morire dov'è"

Antonio Pandolfo, detto “Marietto”, braccio destro dell’ex boss della Mala del Brenta, vive in una casa popolare a Dolo. «Mi sono fatto 30 anni di galera perché non ho mai venduto nessuno. Per questo motivo adesso non temo più nulla»

DOLO. Piumino verde pistacchio, scarpe da ginnastica e spalle da bulldozer. Eccolo “Marietto”, il braccio destro di Felice Maniero, al secolo Antonio Pandolfo, descritto come il più violento, il più sanguinario. «Un pazzo», dice ancora oggi Faccia d’angelo, terrorizzato dall’idea che lui, ora libero, possa fare del male alla figlia. Pandolfo ha 66 anni, una trentina li ha trascorsi nelle carceri di mezza Italia.

Da marzo scorso è un uomo libero, o quasi. È un sorvegliato speciale: non può guidare, non può uscire la sera e deve firmare ogni giorno in caserma. È tornato a vivere con la sua famiglia, con la moglie Nicoletta e con il figlio quarantenne, nell’appartamento al terzo e ultimo piano di una palazzina di edilizia popolare.

Vive a Dolo, lì dove ha iniziato a scrivere la storia criminale del Veneto. «Eccomi qua, il pazzo. Ma sono più pazzo io o chi picchia la moglie, minaccia la figlia e denuncia la madre?».



Pandolfo, parli chiaro. A chi si riferisce?

«A chi se non a lui, quello che voi chiamate “Faccia d’angelo” ma che noi qua abbiamo sempre chiamato “cotoea” (gonna in dialetto), perché stava sempre attaccato alle gonne di sua madre. Poi però l’ha denunciata, perché ha fatto sparire il suo tesoro».

Ma il punto è un altro. Dicono che lei l’abbia giurata a Maniero. Temono che prima o poi si vendicherà.

«Io ho pagato per tutto. Mi sono fatto trent’anni dentro. E non intendo ritornarci. È lui che ne ha combinate di tutti i colori, ed è sempre rimasto fuori. Era un confidente, faceva di tutto e non lo arrestavano mai. Un doppiogiochista nato. Ora sta dicendo cose, presenta memoriali. Ha preso 4 anni ma ne farà uno soltanto e poi uscirà. Anzi, le dirò di più».

Cosa?

«Se ci fosse ancora Pavone sarebbe già fuori. Un sacco di gente ha fatto carriera grazie a lui».



Maniero dice che lei era il più cattivo di tutti.

«Ma se sono così cattivo, come mai lui si permette ancora di insultarmi dopo 30 anni? In genere quando si teme una persona si evita di nominarla».

Lei è uscito dal carcere e lui ci è tornato. Qualcuno ha persino avanzato il dubbio che sia stata una soluzione studiata a tavolino per non farvi incontrare.

«Quindi sarei stato io a convincere la moglie a far denuncia? È stata lei a farlo arrestare, perché la picchiava. Lui ha sempre fatto così con le donne e i soldi non c’entrano. Lo faceva anche da ricco».

Si sente che cova ancora astio nei suoi confronti.

«Che uomo è uno che si mette con la sorella della prima moglie morta? E poi dice di essere una persona d’onore».

Come vi siete conosciuti?

«Eravamo amici di discoteca. Ci trovavamo alla Taverna di Fiesso. Ma lui è un farabutto, io non ho mai venduto nessuno. Mi sono fatto 30 anni di galera ma ora non temo nessuno».

Se mai dovesse incrociarlo cosa farebbe?

«Per me può morire dov’è. Se lo incrocio cambio strada».

Ora dice così ma facevate affari insieme ai tempi della Mala del Brenta.

«Da ragazzi abbiamo fatto qualche lavoro ma lui poi si è legato ad altra gente. E questi hanno tirato in ballo me».

Pandolfo, lei si è fatto quasi 30 anni di carcere. Non vorrà dire che è stato tutto un errore? Ortes, per esempio?

«Mi hanno condannato per l’omicidio del collaboratore di giustizia Giancarlo Ortes e della convivente Naza Sabic ma anche lo stesso Maniero in aula disse che non c’entravo. Hanno voluto dare retta ad Andrea Zamattio. Nessuno però ha mai spiegato che fine fecero i 400 milioni di lire che prese Ortes per collaborare. Fatalità morì poco dopo. E i soldi?».

Anche la rapina all’aeroporto di Venezia fu opera sua?

«Sì, mi accusano anche per quella. Ma quando li sento parlare di rapine e furti connessi alla banda, mi viene da ridere. La verità è che in Veneto tanti soldi e che quel sistema consentiva a tutti di campare bene».

Cosa intende?

«Qual è la cosa più semplice da fare quando un negozio non va? Lo si brucia e si prendono i soldi dell’assicurazione. Così funzionava, altro che rapine e furti».

Riconobbero il vincolo associativo. Eravate la mafia del Brenta.

«Mafia?Io non ho mai visto nessuno aiutare gli altri, anzi. Nessuno mi ha pagato l’avvocato, nessuno ha mantenuto la mia famiglia. Questa sarebbe mafia? Secondo me no».

Tra tutto ciò che ha fatto, cosa non ripeterebbe se potesse tornare indietro?

«Maledetta la volta che ho incontrato Maniero. Ho pagato per 30 anni, adesso spero di farne altrettanti fuori».

Come trascorre le giornate?

«Mi alzo, faccio un po’ di palestra in casa, vado a firmare in caserma e poi cerco di lavorare qua e là».

Che lavoro fa?

«Tutte mansioni in nero: tinture, cartongesso. Ogni tanto mi chiamano per lavori socialmente utili. Il Comune di Dolo non mi chiama mai, Mestre lo fa ogni tanto».

Ha chiesto il reddito di cittadinanza?

«Sì, sto istruendo la pratica ma non è facile ottenerlo. Mi chiedono un sacco di documenti».

Le pesa fare questa vita?

«Io ho sempre fatto questa vita. Non sono mai andato via in Ferrari e non ho mai avuto ville».

Quando ha visto l’ultima volta Felice Maniero?

«Quando siamo scappati assieme dal carcere Due Palazzi, nel 1994. Non conoscevo nessuno, ha fatto tutto lui».

Non è da tutti organizzare un’evasione del genere, deve riconoscerlo.

«Li pagò, aprirono le porte. Suonò il campanello e quelli aprirono. Dai andiamo, disse. Poi ognuno per la sua strada, finché la polizia non venne ad arrestarmi».

Sia sincero, ce l’ha un po’ di desiderio di vendetta?

«All’inizio la rabbia c’era ma dopo 30 anni di galera è tutto passato. È lui che continua a pensare a me». —




 

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