Mala del Brenta, Pandolfo sarà libero alla fine di ottobre

“Marietto” era l’ex braccio destro del boss Felice Maniero: ha scontato la pena, lascerà il carcere di Rovigo, non ha mai collaborato

STRA Per fermarlo i carabinieri dovevano usare un metodo inventato dal colonnello Paolo Ganzer: il “ferrovecchio”. Si prendeva l’Alfetta blindata più vecchia e scassata dall’autorimessa dell’Arma e la si mandava a sbattere contro l’auto di Antonio Pandolfo. Poi si dava l’alt.

Era l’unico modo per evitare che “Marietto” sparasse.. Dal 29 ottobre sarà di nuovo un uomo libero e uscirà dal carcere di Rovigo. Una notizia inattesa in Riviera del Brenta che rischia di innescare una serie di eventi che nessuno è ancora in grado di prevedere. Ma che sarà ben difficile contenere, perché il giorno dopo chiuderà la sezione del Reparto operativo speciale (Ros) di Mestre, quello che indaga anche sulle bande che si stanno riformando in Riviera del Brenta con il ritorno dei “vecchi” della mafia del Brenta.

Una “fine pena” che farà tremare molti in zona. Perché Antonio Pandolfo, 64 anni, per tutti Marietto o “Mario grosso”, è stato il primo non di famiglia, dopo il cugino Giulio, a stringere amicizia con Felice Maniero. Non avevano ancora iniziato con i “lavori” seri, ma erano tutti ragazzini adolescenti rapiti dalle storie dello zio di Felix, Renato, che raccontava di essere stato nella banda di Adriano Toninato, che negli anni ’50 organizzava rapine e furti mirabolanti (tra cui la prima rapina a bordo di un’auto ai danni degli impiegato di un colorificio di Padova che hanno appena ritirato 13 milioni per le paghe dalla sede del Banco Ambrosiano). Storie che i ragazzini assimilano mentre si delineano già i loro caratteri e iniziano i primi “lavoretti”: furtarelli.

Ed è in quel periodo che Felix decide che il suo vice sarà proprio Marietto, già il più grosso di tutti. Ma anche il più taciturno. “Mario grosso” è il più pronto a entrare in azione, quello che nei primi furti seri (ai danni di grossisti di alimentari) non ha mai paura. Infatti, quando si comincia con le “dure”, Antonio Pandolfo diventa il “re delle rapine”, il nervi d’acciaio che non perde mai la calma.

In tutti i colpi più importanti lui c’è. In quelli ai laboratori orafi, in quella al Casinò del Lido, in quella all’Hotel Des Bains, al carico d’oro dell’aeroporto Marco Polo, quando bisogna rincorrere i cambisti per “prendere possesso” del casinò di Venezia. Ma anche quando le cose non vanno come dovrebbero: l’assalto al vagone postale a Vigonza e nell’esplosione muore Cristina Pavesi, delitto per cui mai nessuno ha pagato. È accanto a Felix quando il gruppo scappa dalla sezione massima sicurezza del carcere Due Palazzi: un’evasione che si sospetta sia organizzata da qualche servizio dello Stato.

Ma subito dopo, nella latitanza, accade qualcosa che fa capire a Marietto che Felix non è più affidabile: la decisione di uccidere Giancarlo Ortes, il regista dell’evasione che aveva cominciato a collaborare con la Dia.

Le informazioni raccolte dai carabinieri dicono che Antonio Pandolfo avesse deciso di “steccare” Maniero, di farlo fuori. E che Maniero lo abbia saputo, decidendo di collaborare. Sia come sia Marietto si è staccato completamente dal suo ex capo: è uno dei pochissimi che non ha mai “cantato”, mai collaborato, mai pentito. Ha detto pronunciato solo una parola: “Vendetta”. —

 

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