Manager condannato a rimborsare 230 mila euro
VENEZIA. Tra il gennaio 2013 ed il novembre scorso, Massimo Piccoli ha diretto l’Ulss 21 di Legnago ma la sua nomina era inficiata in partenza dall’assenza dei requisiti professionali richiesti, ovvero «l’esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, svolta con autonomia decisionale e diretta responsabilità delle risorse»: per tale ragione la Corte dei Conti del Veneto l’ha riconosciuto responsabile di false attestazioni, condannandolo a risarcire l’intero ammontare delle retribuzioni percepite: 230 mila euro aumentati di interessi legali e rivalutati secondo gli indici Istat. Assolto, invece, il direttore generale della sanità veneta, Domenico Manton: i giudici contabili l’hanno scagionato con formula piena dall’accusa di concorso, assegnandogli anzi un indennizzo di 5 mila euro per le spese legali sostenute.
La vicenda, per molti versi clamorosa, prende avvio da un esposto ai carabinieri del Nas di Padova che nel marzo 2014 segnala l’assenza dei requisiti prescritti da parte del manager, nel frattempo nominato a capo dell’azienda sanitaria veronese dal governatore Luca Zaia. La tesi: all’atto di concorrere alla direzione dell’Ulss, l’autocertificazione del manager ha incluso nel curriculum la presidenza del consiglio d’amministrazione dell’Ipab di Bussolengo e la carica direttiva ricoperta nella spa HPM Holding, una multiutility di Verona. Mansioni che, secondo la Procura della Corte divenuta titolare dell’indagine, non rispondono - in tutto o in parte - all’esperienza professionale richiesta. Ha inizio così un lungo braccio di ferro sull’idoneità dei titoli. Con Mantoan che, preso il toro per le corna, tempesta di richieste Piccoli, sollecitato più volte a fornire nel dettaglio una documentazione che comprovi realmente l’esperienza dirigenziale esibita in sede di candidatura. Della questione viene investito anche Mario Caramel il segretario generale della Giunta che coordina l’Avvocatura regionale. Interpellata, l’Ipab replica con una memoria puntuale, valutata però in modo controverso da accusa e difesa. In ogni caso, il completamento del quienquennio richiesto include la fase trascorsa ad HPM ed è quest’ultima a rivelarsi il punto debole: Piccoli, comunica la holding, era un «collaboratore esterno che si recava in azienda due volte la settimana per occuparsi di finanziamenti, rapporti bancari e gestione dei fornitori» e «non aveva mai firmato atti che dessero disposizioni ai dipendenti». La Procura, a questo punto, chiede il suo rinvio a giudizio in concorso con Mantoan, accusato di non averne proposto la revoca immediata.
E si arriva al giudizio della Corte, composta dal presidente Guido Carlino e dai giudici Natale Longo e Giuseppina Mignemi (relatore). Che non hanno dubbi nel respingere l’ultima carta della difesa di Piccoli, quella dell’«utilitas» cioè dei risultati effettivi conseguiti dal dg nel mandato: l’Oscar al bilancio ricevuto nel 2014 è ritenuto irrilevante in quanto pertiene soltanto alla chiarezza espositiva mentre i bilanci dell’Ulss 21 nel 2013 - disavanzo di 6,3 milioni con perdite in aumento del 15,30% sull’anno precedente e flessione netta dei ricavi da prestazioni, mobilità e ticket - smentiscono, a parere dei magistrati, particolari meriti amministrativi. Morale della favola: le attestazioni risultano effettivamente false e ciò ha causato un danno erariale che Massimo Piccoli dovrà risarcire in toto restituendo gli stipendi con gli interessi.
Tutt’altra musica per Mantoan; la tesi dei suoi avvocati, Ivone e Chiara Cacciavillani, è accolta dalla Corte: «la sua condotta non può ritenersi censurabile», sentenzia, perché ha agito correttamente segnalando ogni punto critico del caso, né la proposta di revoca rientrava nelle sue competenze bensì in quella, esclusiva, del governatore. Nota finale: all’epoca la valutazione dei 278 curricula pervenuti - incluso quello di Piccoli - fu affidata ad un consulente esterno, la ditta Praxi di Torino, che agì nel solco del principio di autocertificazione «con onere della comprova» da parte dei candidati. Una procedura abituale, certo, che tuttavia non pone al riparo da sorprese sgradite.
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