«Maniero, sei anni all’ex cognato»

I pm di Venezia chiedono la condanna di Di Cicco per il riciclaggio del tesoro, 3 anni e 4 mesi per la sorella di Felice

VENEZIA. «Chiedo di essere giudicato esclusivamente per quello che ho commesso». Riccardo Di Cicco, l’odontoiatra fiorentino ex cognato di Felice Maniero, ha parlato così ieri pomeriggio davanti al gup veneziano Massimo Vicinanza. In più occasioni ha ammesso di aver riciclato, tra il 1995 e il 2013, 11 miliardi di lire che l’ex “Faccia d’Angelo” gli avrebbe consegnato quale parte del suo tesoro. E che quei soldi in diverse tranche li ha restituiti.

Ma secondo i pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia lagunare Paola Tonini e Giovanni Zorzi, il tesoro che Maniero ha consegnato a Di Cicco è ben superiore: 33 miliardi, di cui solo 6-7 dati indietro all’ex boss della Mala, il quale dunque avrebbe vuotato il sacco con i magistrati. Per questo, al termine di una lunga requisitoria, i pm hanno chiesto che Di Cicco venga condannato a 6 anni di reclusione, mentre Noretta Maniero, sorella dell’ex “Faccia d’Angelo” ed ex moglie dell’odontoiatra, a 3 anni e 4 mesi.

Entrambi, accusati di riciclaggio in concorso, hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato, che garantisce la discussione sulla base degli atti disponibili e lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. I rappresentanti della pubblica accusa hanno contestato agli imputati anche l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Una aggravante fermamente contestata dalle difese rappresentate dagli avvocati Giulio Venturi per Di Cicco e Antonio D’Orzi per Noretta Maniero. È stata una udienza fiume quella di ieri pomeriggio alla Cittadella della giustizia di Venezia: cinque ore in cui accusa e difesa si sono date battaglia. Presente, così come in tutte le udienze scorse, Riccardo Di Cicco, arrivato dal carcere di Tolmezzo (Udine). Per lui e per il broker Michele Brotini (che ha invece deciso di rispondere dell’accusa di riciclaggio davanti al tribunale collegiale), l’arresto (con custodia cautelare in carcere) era scattato a gennaio 2017. La Procura distrettuale ha fondato le sue accuse partendo dalle dichiarazioni che Felice Maniero ha rilasciato nel corso di quattro interrogatori nel 2016.

A supporto delle rivelazioni, una corposa attività investigativa svolta dalla Guardia di Finanza, tra cui una rogatoria chiesta dalla Procura in Svizzera, alla Deutsch Bank, sul conto segreto “Monastero” aperto da Di Cicco, dov’erano in deposito oltre 4,5 milioni di euro frutto del riciclo del tesoro di “Felicetto”.

Le difese hanno contestato soprattutto l’accusa relativa ai 22 miliardi del tesoro che rappresentano la differenza tra quanto dichiarato da Maniero e quanto ammesso da Di Cicco. «Una cifra assolutamente incompatibile con i risultati dell’attività d’indagine», ha commentato l’avvocato Venturi al termine dell’udienza. I legali hanno cercato anche di smontare le accuse lanciate da “Felicetto”. Lo stesso odontoiatra, nel corso dell’interrogatorio a cui si è sottoposto in sede di udienza preliminare a marzo, aveva dato la sua risposta alla domanda della pm Tonini sul motivo per cui Maniero l’avrebbe denunciato: «Forse deve soldi a qualcuno e così facendo si mette al riparo da richieste di denaro», aveva risposto.

Il gup Vicinanza leggerà la sentenza lunedì pomeriggio, poi tutta l’attenzione si sposterà sul procedimento a carico di Brotini. Tra i testi citati, il “grande accusatore” Felice Maniero.

Ville confiscate, si va in Appello. Resta aperta la questione delle confische dei tre immobili di pregio a Santa Croce sull’Arno e Fucecchio (Firenze) e del villino a Pietrasanta, in Versilia, di proprietà di Di Cicco e dei familiari. Il Riesame nelle scorse settimane ha disposto che le dimore vadano allo Stato (che potrà venderle o destinarle a scopi sociali) ritenendo che siano state acquistate da Di Cicco usando i soldi del tesoro di “Faccia d’Angelo” ed evidenziando la sproporzione tra i redditi dell’odontoiatra fiorentino e il prezzo degli immobili. La difesa di Di Cicco ha già presentato ricorso davanti alla Corte d’Appello.

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