Manuel, le urla e le risate in moto dopo gli spari. Dubbi sulla versione dei due fermati

ROMA. Nel corso dell’interrogatorio di due giorni fa si sono detti pentiti. Ma nella notte tra sabato e domenica scorsi, dopo aver sparato al giovane nuotatore Manuel Mateo Bortuzzo, mentre con il motorino sfrecciavano tra le vie di Acilia «urlavano e ridevano» come se nulla fosse successo. C’è anche questo passaggio sconvolgente nel decreto di fermo emesso dalla procura di Roma nei confronti di Lorenzo Marinelli, 24 anni, e Daniel Bazzano, 25 anni, accusati di tentato omicidio premeditato e porto abusivo d’armi. Una contestazione, questa, che potrebbe però essere ulteriormente appesantita da una nuova aggravante: il metodo mafioso.
«METODO MAFIOSO» Chi indaga, infatti, sta valutando una serie di elementi per capire se nell’agghiacciante ferimento di Manuel, rimasto paralizzato agli arti inferiori, possa essere configurato il metodo mafioso, vista anche la dinamica dei fatti e quello che è successo prima e dopo, nonché l’ambiente nel quale è maturato quello che secondo i due rei confessi sarebbe stato un errore di persona. E in effetti i due killer nei quattro giorni di “latitanza” hanno potuto vantare una rete di copertura notevole. «Stiamo lavorando anche sui fiancheggiatori», ha spiegato a “La Stampa” una fonte di polizia che ha aggiunto: «Il clima di omertà non ci ha di certo favorito». La stessa «omertà» mostrata da Marinelli che nel corso dell’atto istruttorio alle incalzanti domande dell’aggiunto Nunzia D’Elia e del pm Elena Neri ha alternato «non so» a «non ricordo».
RISPOSTE EVASIVE Quando i magistrati hanno chiesto perché ha sparato, il ragazzo ha risposto in modo evasivo: «In realtà non vi era alcun motivo. Forse l’ho collegato a qualcuno che precedentemente mi aveva minacciato». E quelle intimidazioni sarebbero arrivate nel corso di una rissa avvenuta davanti all’O’Connell Irish Pub dell’Axa-Casal Palocco.
Secondo il racconto fatto dallo stesso Marinelli nell’interrogatorio di garanzia, poco prima all’interno del locale alcuni giovani, tra cui lui stesso, erano venuti alle mani. Ma anche qui Marinelli tentenna e alla domanda sul «come e perché» ha risposto in modo poco credibile. «Onestamente non so chi partecipasse e nemmeno il motivo, ma sono stato colpito e minacciato». Ma chi indaga lavora a una pista ben diversa.
La rissa sarebbe scattata, infatti, per una partita di cocaina non pagata.
LA “BATTERIA DI ACILIA”
Marinelli, tra i capi una gang denominata «Batteria di Acilia», che ha come punto di riferimento le case popolari di piazza San Giorgio, alla periferia della cittadina, sarebbe stato picchiato da una banda rivale, quella dei “pugili”, legati da un patto di amicizia con il clan dei Casalesi. Picchiatori gli uni e gli altri, in combutta con pusher e malavitosi. Fortemente arrabbiato per le botte che aveva preso, il 24enne sarebbe poi tornato sul posto con la pistola calibro 38, ma non per vendicarsi, dice, bensì per proteggersi. «Volevano venire a prendermi a casa. Ho avuto paura», ha spiegato Marinelli agli investigatori. Poi ha cercato di discolpare l’amico: «Daniel non sapeva nulla dell’arma, ha solo guidato il motorino». E infine ha spiegato le ragioni che lo hanno portato a costituirsi: «Quel ragazzo deve avere giustizia». Una versione ritenuta inattendibile. Del resto gli indagati non ricordano le ragioni e i partecipanti alla rissa, non spiegano dove sono stati negli ultimi giorni e forniscono improbabili versioni sul ritrovamento dell’arma. Se sono stati identificati, infatti, è solo grazie a una giovane testimone che ha riconosciuto i due mentre si allontanavano dal luogo del ferimento di Manuel. «Ho sentito i colpi, pensavo che fossero petardi e ho visto un motorino fuggire a forte velocità con a bordo due ragazzi che urlavano e ridevano», ha messo a verbale la ragazza. —
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