Marmolada, l’antico rifugio perso nel vuoto. Per raggiungerlo bisogna scalare 80 metri

La grotta fu realizzata nel 1874 come base di partenza per la vetta, con il ritiro del ghiacciaio è impossibile arrivarci a piedi

ROCCA PIETORE.

Il rifugio più antico delle Dolomiti è un buco nella roccia, affacciato sul vuoto dove una volta c’era il ghiaccio. Scavato tra il 1874 e il 1876 nelle pareti della Marmolada, all’epoca il piccolo ricovero era a livello del ghiacciaio. Ora invece è un’apertura nella montagna, 80 metri più in alto rispetto alla base della parete, presenza incomprensibile per chi non conosce la sua storia, testimonianza del ritiro dei ghiacciai.



La scalata

Raggiungere il rifugio è diventato, anno dopo anno, sempre più difficile. L’ha fatto, nei giorni scorsi, lo scalatore e guida alpina Bruno Pederiva, con la colonna sonora dell’acqua che incessante scende a valle durante il periodo estivo. Più acqua, questo è il punto, di quanto il gelo riesca a trattenerne in quota durante i mesi invernali. Per lui, Pederiva, che ha salito la Marmolada centinaia di volte, protagonista lungo vie estreme che risalgono la parete sud della Regina delle Dolomiti, raggiungere l’antico rifugio è stata una passeggiata: ha aggirato la parete camminando (come un gatto) lungo una cengia, quindi è salito sopra l’apertura e si è calato con una corda legata a uno spuntone di roccia: «Là dentro ho trovato un libretto con le firme di chi è riuscito a salire fin lassù» ha raccontato, protagonista del video “Il primo rifugio delle Dolomiti”, girato dagli autori di questo articolo e prodotto dall’Apt della valle di Fassa.



Alleanza d’altri tempi

Su quel libretto c’è traccia di un’antica alleanza (che di questi tempi pare impossibile) tra gli alpinisti veneti del Cai di Agordo e quelli del Trentino “austriaco”, oltre cent’anni prima delle dolorose dispute sui confini. Era il 1874, la Marmolada era stata salita dieci anni prima, lungo la via normale, dall’austriaco Paul Grohman assieme alle guide alpine cortinesi Angelo e Fulgenzio Dimai. Quell’anno, lungo la stessa via, di ritorno dalla vetta (Punta Penia), bellunesi e trentini strinsero un accordo: «Il ghiacciaio sarà chiamato ghiacciaio dell’alleanza e scaveremo nella roccia un piccolo rifugio, utile come base di partenza per la vetta, ma anche come riparo in caso di emergenza». Così racconta Tommaso Magalotti nel monumentale saggio “Marmolada Regina”. Fra i protagonisti della vicenda c’era l’agordino Cesare Tomè e lo stesso Grohmann, da Vienna, mandò il proprio contributo per realizzare l’opera.

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Sei minatori al lavoro

Per scavare il rifugio entrarono in azione sei minatori. Il rumore delle mine riecheggiava da una parte all’altra del ghiacciaio e negli anni successivi il piccolo rifugio fu pronto, con grande anticipo rispetto a quella che durante la Grande Guerra diventerà la “Città di ghiaccio” austriaca. Ma la grotta - 5 metri di lunghezza e 4 di larghezza, come ha constatato personalmente Pederiva - ebbe scarsa fortuna per due motivi almeno: le infiltrazioni d’acqua e il ritiro del ghiacciaio che si allontanava (abbassandosi) dall’ingresso del rifugio. Un ritiro inizialmente lento, tanto che ai primi del Novecento l’ingresso del rifugio era ancora a un passo dal ghiaccio, finché negli ultimi decenni il dislivello è aumentato a gran velocità.



Il rifugio più antico

Si potrebbe discutere a lungo se sia questo il rifugio più antico delle Dolomiti, oppure il Nuvolau, come molti sostengono, un rifugio vero e proprio, realizzato quasi dieci anni dopo a poca distanza da Cortina. Ma Stefano Ardito, scrittore e giornalista, che ha dedicato grandi energie ai rifugi dolomitici, non ha dubbi: «Si può disquisire sulla parola “rifugio”, ma non sull’importanza di quel primo ricovero per alpinisti». Rifugio, ricovero, grotta o bivacco, quel “buco” resta lì – sempre più in alto – a ricordare a tutti quelli che risalgono il versante nord della Marmolada, con un semplice colpo d’occhio, come sta cambiando il clima. —
 

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