Marta Basso, una veneta dietro a Clubhouse Italia, il social del momento

La vicentina assieme a un pordenonese e una milanese dietro il successo e la costruzione della community italiana che discute in audio nelle "stanze sonore tematiche". Ecco come funziona

C’è anche un pezzetto di Veneto dietro il successo, in Italia, di Clubhouse, la prima app al mondo dedicata alla voce. Sorta di versione social dei podcast, letteralmente esplosi nell’anno che si è appena concluso. E così, se Facebook è il mondo della parola scritta, Instagram quello delle immagini e Tik Tok dei video, ecco che anche la voce trova la sua casa nell’etere.

Clubhouse nasce nell’aprile 2020 nella Silicon Valley, ma è grazie all’intuito e alla tenacia della vicentina Marta Basso, del pordenonese Federico Cecchin e della milanese Ana Maria Fella si fa conoscere in Italia. Anche se, per ora, solo come “oggetto del desiderio”.

Perché Clubhouse non è un social come gli altri: per accedervi, al momento, è necessario essere invitati da un amico che sia già iscritto. «Oppure fare domanda, nella speranza che un contatto della propria rubrica sia sulla piattaforma e accetti la richiesta» spiega Basso. Con un investimento di appena 12 milioni di dollari, ora Clubhouse ha un capitale di un miliardo e conta quasi 2 milioni di utenti in tutto il mondo, piacendo negli Stati Uniti soprattutto alla comunità afroamericana.

Per il momento, del social esiste solo la versione “beta”, scaricabile unicamente su iPhone, ma gli sviluppatori promettono che per il lancio ufficiale, anche nel mondo Android, sia solo questione di tempo. È possibile che parte del lavoro sia da dedicare al delicatissimo tema della sicurezza. Una questione che è stata scoperta dal velo dell’impronunciabilità dopo la morte di una ragazzina di Palermo, a seguito di un gioco mortale, forse dovuto a una sfida su Tik tok. Una notizia sconvolgente, che impone ai grandi colossi degli app store una sorveglianza che non si limiti al blocco, assolutamente aggirabile, delle iscrizioni per i minorenni.

Ma torniamo a Clubhouse, per capire come funziona. Assolutamente non come Facebook, né come Instagram o LinkedIn. Innanzitutto, perché non si basa sul meccanismo delle “amicizie”, né dei follower - dimenticate i rapporti “uno a uno”, quindi -, ma funziona per "stanze".

«Stanze tematiche in cui discutere di un determinato argomento» spiega Basso. «Può esserci la stanza del “buongiornissimo”, o quella della buonanotte. Ma anche della meditazione, dell’astrologia». Ecco dunque come scendono in campo i tre italiani: creando le stanze in cui parlare di un determinato tema, nella nostra lingua. Per ora anche gli argomenti trattati possono considerarsi una versione “beta”, ma il potenziale di questo social network è enorme. Per questo Basso ritiene che, come già successo con Facebook, presto le aziende faranno a gara per tuffarcisi.

«E, se a Clubhouse dovesse servire una divisione italiana, io, Federico e Ana Maria ci proponiamo per seguirla». I tre sono perfetti rappresentanti di una generazione social. Basti pensare che Marta e Federico, pur collaborando da diverso tempo, non si sono mai visti di persona. L’incontro (uno) con Ana Maria c’è stato, ma la conoscenza è nata proprio su Clubhouse.

La giovane vicentina crede che, dopo l’esplosione negli Stati Uniti, Clubhouse riscuoterà un grande successo anche in Italia, «anche perché noi italiani amiamo parlare» scherza, ma non troppo.

«Questo è il periodo della parola. Il 2020 è stato l’anno dei podcast. Nelle nostre case sono arrivati Google Home e Alexa. Clubhouse è l'ulteriore risposta a tutto questo. È lo scarto tra il social di vetrina e il social di vera condivisione» spiega, sicura. E se la giovane decide di scommettere su questa app, allora c’è da crederci. Ventott’anni a marzo, una laurea in Economics and management conseguita a Ca’ Foscari, Marta Basso è imprenditrice digitale, nominata nel 2020 tra le 15 “LinkedIn Top Voices” italiane.

«Sono stata una delle prime, se non la prima in assoluto, a pubblicare dei video su LinkedIn, già nel 2018» racconta. Appassionata di nuove piattaforme digitali, adesso punta forte su Clubhouse. «Solitamente sono quel genere di persona che dice alle aziende “Ehi, guardate che con questo potete farci dei soldi”. Ecco, Clubhouse è esattamente questo: le aziende potranno farci dei soldi e sono sicura che se ne accorgeranno molto presto».

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Tutto su Clubhouse, lo schedone-spiegone

Chi è il prossimo? Ogni volta che spunta un social network in forte espansione, si ritrova con l’etichetta di «nuovo Facebook». Nessuno si è mai lontanamente avvicinato ai numeri di Mark Zuckerberg (per informazioni chiedere a Snapchat). Ma le nuove piattaforme raccolgono comunque milioni di utenti, rendono spesso ricchi i proprietari e raccontano la direzione intrapresa dai social media (per informazioni chiedere sempre a Snapchat). L’ultimo caso è Clubhouse, app arrivata prima sui radar dei grandi investitori Usa e oggi sulla bocca degli utenti di mezzo mondo.

DA ZERO A CENTO

Clubhouse è l’unica creatura di Alpha Exploration, una società che - stando al profilo Linkedin del suo co-fondatore, Paul Davison - è nata solo nel febbraio 2020. Tre mesi dopo un investimento da 12 milioni di dollari valutava lapp circa 100 milioni.

Eppure, all’epoca del round, non aveva neppure un sito ed era frequentata da appena 1500. A volte, però, gli iscritti non si contano ma si pesano: Clubhouse ha attirato sin da subito l’attenzione degli investitori. E a confermarlo non c’erano solo quei 12 milioni ma anche la tasca che li aveva sborsati: il fondo di venture capital Andreessen Horowitz, tra i primi a credere (tra gli altri) in Twitter, Facebook, Groupon, Coinbase e Airbnb.

Se l’uscita dai blocchi è stata fulminea, nei mesi successivi l’app non ha certo rallentato: gli utenti sono diventati circa 2 milioni, solo su iOS. L’app è infatti disponibile per i dispositivi Apple ma non ancora per Android (che è di gran lunga li sistema operativo più diffuso al mondo). Insomma: l’espansione pare essere solo all’inizio. Ma, di nuovo, più che la platea colpiscono i fondi investiti: Andreessen Horowitz (sempre loro) ci ha messo il carico da 100, come i milioni scuciti alla fine di gennaio.

La valutazione di Clubhouse è così schizzata a un miliardo. Neppure cifre come queste assicurano il successo: il progresso va monetizzato. All’inizio con la pubblicità, in futuro probabilmente con «biglietti» per partecipare ad alcuni eventi o con gli abbonamenti.

COME FUNZIONA

Clubhouse è organizzato in «stanze», nelle quali gli utenti possono scambiarsi messaggi vocali. Una volta chiusa la stanza, non vengono registrati ma scompaiono. Ad accrescere l’aura di riservatezza c’è poi la caratteristica distintiva della piattaforma: non ci si può iscrivere liberamente ma si accede solo per invito di un altro utente.

Il 31 gennaio, Elon Musk ha fatto il suo esordio su Clubhouse, discutendo delle sue aziende (ma non solo) e attirando ben più dei 5 mila iscritti concessi come tetto di una stanza. È solo un episodio, ma è un indice di quanto gli utenti abbiano fame di conversazioni con meno intermediazione e più riservatezza possibile. Ed è qui il grande nodo: tutti gli ambienti chiusi hanno una doppia faccia. Da una parte la privacy spiccata, dall’altra la possibilità di incontrare contenuti violenti, razzisti, sessisti.

L’app non accede alla voce dell’iscritto se la sua impostazione è «in muto». E i messaggi (tutti criptati) si dissolvono nel momento in cui la stanza si chiude. Con una eccezione: nel caso di violazioni segnalate, gli audio vengono trattenuti per accertarle. La piattaforma, quindi, ha le sue regole: chi accede deve farlo con il proprio nome e verificare l’identità. L’iscrizione è possibile solo dopo aver compiuto 18 anni e non sono consentiti «abusi, bullismo e molestie nei confronti di nessuna persona o gruppo».

Gli utenti non sono tutti uguali: nella stanza si può essere moderatori, speaker o ascoltatori. Al primo spetta il compito di «curare» la conversazione, invitare gli speaker e dare o togliere loro parola, espellere utenti dalla stanza. Gli speaker sono coloro che, come dice la parola stessa, parlano; gli ascoltatori (listener) possono assistere e chiedere di intervenire. Tutti (quindi non solo i moderatori) possono segnalare abusi. Seppure violenza e incitamento all’odio siano vietati, le eventuali infrazioni devono sempre passare da una segnalazione.

Qualcosa potrebbe sfuggire, anche perchè le persone che frequentano una stanza tendono ad avere interessi comuni: contenuti offensivi, quindi, potrebbero passare sotto silenzio perchè approvati dal gruppo che li genera.

Tempi e modi dell’indagine, peraltro, sono ristretti. Si può sempre fare una segnalazione, ma è più efficace se in tempo reale (visto che dopo aver chiuso la stanza Clubhouse cancella gli audio). Nel caso in cui l’indagine interna desse esito positivo, la piattaforma prevede una serie di provvedimenti, che vanno dall’ammonimento alla sospensione, fino all’espulsione e alla segnalazione alle forze dell’ordine.

INDIZI SUL FUTURO DEI SOCIAL

Clubhouse intreccia una serie di tendenze chiare nei social network e - in generale - nel mondo della comunicazione digitale: uso della voce, contenuti effimeri, attenzione alla privacy. Nel 2019, Mark Zuckerberg disse che il futuro di Facebook sarebbe stato «privato», sempre meno «piazza» e sempre più «salotto» digitale.

In Clubhouse non ci sono piazze ma solo stanze: l’app prende quindi l’obiettivo cui tende Menlo Park e ne fa il proprio pilastro. Presto per dire se sarà il nuovo TikTok, ma vale la pena puntarci gli occhi, quantomeno per capire come saranno i social network tra qualche anno. Snapchat non è stato e mai sarà il nuovo Facebook, ma oggi storie e contenuti effimeri sono ovunque, da Instagram a Linkedin.

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