Preoccupati e delusi: ecco come vivono i medici ospedalieri in Veneto 5 anni dopo il Covid

L’indagine evidenzia problemi di organico, carico di lavoro e stress, con il 74% dei medici che denuncia reparti sottodimensionati e il 29% valuta negativamente la qualità del proprio lavoro

Laura Berlinghieri
Un medico durante la pandemia Covid
Un medico durante la pandemia Covid

Avrebbero immaginato un futuro differente, dopo la pandemia: il tempo che li aveva elevati a eroi. E invece, per loro, è pure peggio di prima. È quanto emerge dall’ultima indagine, aggiornata al febbraio scorso, eseguita da Cimo e Fesmed e alla quale hanno risposto 421 medici ospedalieri del Veneto.

Bene, il 78% del campione intervistato ha raccontato che, durante la pandemia, immaginava un futuro professionale migliore; secondo l’82%, il miglioramento avrebbe riguardato anche lo stipendio. Ma erano speranze che poi sarebbero state disattese. Perché oggi, a cinque anni dall’emergenza Covid, i medici ospedalieri veneti che assegnerebbero un voto basso alla qualità della propria professione sono il 29%, il 45% se si parla di carriera e il 60% se si considera lo stipendio.

«Il presidente Zaia celebra, a ragione, le punte di diamante della nostra sanità, vale a dire professionisti particolarmente dotati e appassionati, che sacrificano moltissimo del loro tempo per raggiungere questi traguardi – commenta Giovanni Leoni, al vertice di Cimo – Ma la sanità veneta si regge anche su un volontariato di ore mai riconosciute. Su uomini e donne, magari non celebri come i primari, che però contribuiscono a mandare avanti il sistema. Ma se il sentimento dei medici è questo, allora bisognerebbe interrogarsi».

Anche perché poi l’analisi delle federazioni mediche scende nel merito dell’oggettività dei problemi. E quindi il 74% dichiara di lavorare in un reparto sottodimensionato dal punto di vista dell’organico; addirittura «nettamente», per il 32% di questi. E poi gli altri problemi: il tempo dedicato agli atti amministrativi, che per il 66% dei dottori è «molto».

Il lavoro settimanale che supera le 38 ore per il 79% della platea; addirittura oltre le 48 ore nel 24% dei casi. La formazione nella propria azienda ritenuta non soddisfacente dal 65% dei medici, addirittura inesistente per un ulteriore 3%. Il credito di ferie annuali dei dottori, che per il 46% di loro va dagli 11 ai 50 giorni; dai 51 ai 100 per il 27% e persino oltre i 100 per l’11%. L’alto livello di stress per il 54% degli ospedalieri, così come è alto (per il 15%) il rischio di subire aggressioni; ma, soprattutto, quello di commettere errori, in ragione del grande carico di lavoro (44%).

Preoccupazioni che riguardano soprattutto determinate branche della medicina ospedaliera, che tra l’altro sono le stesse che ogni anno affrontano la carenza di iscrizioni alle scuole di specialità.

E, allora, propone Leoni: «Servirebbe una nuova area contrattuale per l’Urgenza ed Emergenza, comprendendo al suo interno tutti i reparti con elevate percentuali di urgenze» dice, «Prima della pandemia, noi medici speravamo in un domani migliore, con più risorse, migliori tecnologie, più posti letto. E invece questa indagine ci dice che viviamo persino peggio di prima».

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