Medici, in Veneto 814 posti messi a bando nel 2024. Ma appena 197 vincitori
Zaia: «Vorremmo assumere di più». Dei Tos: «Mancano soprattutto infermieri». Mapelli sull’abolizione del numero chiuso: «Dal Parlamento nessuna novità». Le storie di due medici, con visioni differenti
Sono i numeri a raccontare l’enorme crisi di vocazioni tra i medici specializzati, nel mondo della sanità pubblica.
«In tutto il 2024 abbiamo realizzato 75 concorsi, mettendo a bando 814 posti, ma ci sono stati appena 197 vincitori. Ditelo a chi pensa che non ci sono medici perché non li vogliamo assumere» è il commento, aspro, del presidente veneto Luca Zaia.
Pur temperato dalle parole di Angelo Paolo Dei Tos, presidente della Scuola di Medicina: «Il problema principale delle vocazioni riguarda l’infermeristica: è l’ostacolo principale ocntro il quale la nostra sanità eccellente rischia di doversi confrontare».
In ogni caso, il ministero dell’Università ha annunciato una rivoluzione nell’accesso alla facoltà di Medicina: via il test, sostituito da uno sbarramento posticipato. Ma, all’approssimarsi della finestra per le iscrizioni al prossimo anno accademico, resta una formula ancora tutta da chiarire.
«Siamo in balia delle decisioni del Parlamento, noi non sappiamo nulla» ammette Daniela Mapelli, rettrice dell’Università di Padova, un ateneo da 550 matricole di Medicina all’anno.
Ma il vero dramma della sanità pubblica, in Veneto, ha origine in un momento ancora successivo: all’atto dell’iscrizione dei medici alle scuole di specialità. È in questa fase che si registra la corsa alle Scuole che, poi, consentono ai dottori di scegliere la strada della libera professione; mentre le specialità inconciliabili con i regimi privatistici si rassegnano a numeri in caduta libera.
Qualche esempio, allora, riferito ancora all’anno appena concluso. Anestesia e rianimazione: 76 posti banditi e appena 13 assegnati. Ginecologia e ostetricia: caccia a 86 medici, ma appena 12 vincitori. E poi Medicina d’emergenza-urgenza: 97 posti banditi e 5 assegnati.
Ma è così un po’ per tutte le scuole di specialità, con giusto una manciata di eccezioni, da pochissimi posti: sono soltanto otto le specializzazioni che nel corso dell’anno hanno visto una corrispondenza speculare tra posti messi a bando e vincitori dei concorsi. Molti di più, invece, i candidati in graduatoria – 2.073 – per la stragrande maggioranza dei casi, non selezionati: molti di questi, infatti, erano studenti nel pieno del percorso di specializzazione.
Passando agli operatori del comparto, nel corso dell’anno sono stati messi a bando 873 posti, con 764 vincitori. Enorme, in questo caso, il numero dei candidati: 4.839. Tanti, anche in questo caso, ma comunque non a sufficienza, per colmare tutte le necessità.
La geriatra: «Lavorare nel pubblico è una vera missione»
Il sogno di diventare medico, di aiutare le persone, tutte, senza alcuna distinzione. La specializzazione, l’ambizione al mondo della ricerca, il concorso e, poi, la soddisfazione per averlo passato. La geriatra feltrina Chiara Simion dallo scorso aprile è entrata in Azienda ospedale università di Padova con un contratto di ricercatrice, della durata di tre anni.
Com’è lavorare nel pubblico?
«Dà grandi soddisfazioni perché ci permette di garantire servizi di qualità estesi a tutti, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali. Chi lavora nel pubblico la vede come una sorta di missione, facciamo fronte alle difficoltà perché sappiamo di fare del bene».
Perché questa continua fuga dalla sanità pubblica, soprattutto da parte dei giovani?
«Perché c’è una vasta gamma di opzioni tra cui scegliere, il lavoro non manca. Spesso siamo logorati dai carichi di lavoro, perché la richiesta di assistenza è alta e il personale è poco. E certo, diventa dirimente anche la conciliazione della vita lavorativa con quella privata».
Ha mai guardato alle strutture private?
«No, ho sempre pensato alla sanità come a quella pubblica. Non ho mai considerato nessuna alternativa».
Come sta il Sistema Sanitario Nazionale?
«Un po’ zoppicante e in difficoltà. Vedo molta disparità e poca lungimiranza, paghiamo la scarsa programmazione degli ultimi decenni e c’è poco interesse da parte della politica».
Da cosa si dovrebbe ripartire?
«Dalla prevenzione, ancora molto sottovalutata. Eppure, permetterebbe di decongestionare sia i Pronto Soccorso che le strutture nel loro insieme. C’è ancora molto da fare per arrivare a una buona interazione tra ospedale e territorio, si può fare di meglio».
La chirurga plastica: «Il futuro è nel privato»
Il privato convenzionato come “banco di prova” per sei mesi, appena terminata la specializzazione in chirurgia plastica, poi la proposta di restare in libera professione e, infine, la scelta di aprire un proprio studio privatamente. La dottoressa trevigiana Mariacristina Vicari riceve i suoi pazienti a Mogliano Veneto e non tornerebbe mai sui suoi passi.
Come mai ha scelto di abbandonare il pubblico, dopo così poco?
«Allora era diverso, i posti erano pochi e la chirurgia plastica non era molto diffusa, o restavi nei grandi centri collegati alle università o passavi al privato.Non era facile restare, ti facevano capire che i giochi erano già fatti, che per te non c’era spazio».
Così, inevitabilmente si va nel privato.
«L’ho scelto anche perché preferisco essere indipendente ma, certo, è più rischioso».
Se le proponessero un contratto per rientrare nel pubblico, cosa farebbe?
«Non ci andrei, senza ombra di dubbio».
Quale destino per la sanità pubblica?
«Credo che il futuro sia nel privato. Andremo verso un sistema sempre più simile a quello americano, in cui le persone si fanno le assicurazioni sanitarie. Il pubblico non è più in grado di far fronte ai bisogni della popolazione».
Che scenario si trovano davanti i chirurghi neo laureati?
«Il pubblico sicuramente li accoglie a braccia aperte, ma non avranno il passaggio di consegne dai colleghi più anziani. All’Università impari il 50% di quello di cui hai bisogno nella vita professionale, l’altra parte la apprendi sul campo, da chi lavora al tuo fianco e ti insegna non solo cosa fare, ma anche cosa non fare per evitare i rischi e ridurre gli errori».
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