Mose, i ritardi nei lavori costano altri 366 milioni

Le aziende del Consorzio Venezia Nuova li chiedono allo Stato per lo slittamento «Servono alla manutenzione delle dighe che sono già state costruite»
Di Alberto Vitucci

VENEZIA. Trecentosessantasei milioni di euro. Sono gli «extracosti» (escluse assicurazioni e fidejussioni) che le imprese consorziate del Mose adesso chiedono allo Stato per il ritardo dei lavori della grande opera, costata già quasi sei miliardi di euro. Cifra enorme, giustificata con la necessità di provvedere alla manutenzione della parte di dighe già costruite. Un’ altra complicazione, se ce n’era bisogno, nella grande partita della salvaguardia e dello scandalo Mose. Due necessità, a volte contrapposte, di completare l’opera e garantire la legalità. La richiesta di nuovi fondi compare nel bilancio consuntivo 2016 del Consorzio Venezia Nuova firmato dai tre commissari Luigi Magistro, Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola. Nei mesi scorsi il comitato consultivo delle imprese, organo istituito dall’Anac dopo il commissariamento del Consorzio, aveva segnalato ai commissari le nuove necessità. Del comitato, istituito il 13 gennaio 2015, fanno parte Romeo Chiarotto per il Covela-Mantovani, Amerigo Giovarruscio (Consorzio ItalVenezia), Salvatore Sarpero (Mazzi), Luigi Chiappini (Consorzio costruttori veneti San Marco), Giovanni Benedetto Carbone per le altre imprese. Le istanze segnalate hanno trovato in parte accoglimento. «Il prolungarsi dei tempi previsti per il completamento dell’opera a causa del ritardato finanziamento pubblico», si legge a pagina 25 del bilancio 2016, «determina oggettivamente maggiori costi ed oneri a carico del Consorzio, mentre si rende necessario provvedere anche alla manutenzione e conservazione delle opere già realizzate e non ancora consegnate». «In questo contesto», prosegue la relazione finale, «sono allo studio accordi con il Provveditorato, intesi a rimodulare l’ erogazione delle risorse già stanziate».Una richiesta consistente. Che va ad aggiungersi ai numerosi contenziosi in atto tra imprese che stanno costruendo il Mose (Mantovani, Mazzi, Condotte, Fincosit) e l’amministrazione straordinaria del Consorzio. Un altro centinaio di milioni di euro, per cui sono in corso cause civili in Tribunale. 30,8 milioni di euro la richiesta avanzata dalle imprese per «mancati lavori assegnati». Stando al regolamento interno, negli anni i lavori venivano affidati senza gara alle imprese in percentuale alla loro quota di partecipazione azionaria nel Consorzio.

Altri 40,8 milioni di euro sono la cifra accantonata dal Consorzio per recuperare le «fatture inesistenti» scoperte dalla Guardia di Finanza nel periodo che va dal 2005 al 2013. 14 milioni per l’evasione fiscale contestata dalla stessa Guardia di Finanza nel periodo 2007-2016. Anche qui causa e ricorsi pendenti. Le imprese hanno anche impugnato in Tribunale i bilanci firmati dai commissari nel 2015. Il Consorzio dei commissari ha a sua volta avanzato una richiesta di rimborso per i danni subiti dalle opere non concluse correttamente: la lunata del Lido, la porta della conca a Malamocco, il cassone allagato durante la mareggiata del novembre 2015. Infine, altri 61,1 milioni di euro sono il danno ipotizzato dalla Corte dei Conti (inchiesta della Procura in corso) per i sovrapprezzi applicati ai sassi del Mose. Ne dovranno rispondere circa 40 tra politici e dirigenti del Consorzio e del Magistrato alle Acque. La lunga storia del Mose non è finita.

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