Mose, Mantovani attacca «I cantieri? Senza gara»

VENEZIA. Le imprese del Mose diffidano i commissari. E chiedono di tornare al «modus operandi da sempre adottato dal Consorzio Venezia Nuova». Cioè il riparto dei lavori in proporzione alle quote azionarie. Senza gare d’appalto e affidamenti esterni. Un ritorno al monopolio come «garanzia del completamento dei lavori». E come candidatura per il dopo, la gestione della grande opera da 5 miliardi e mezzo di euro.
Il contenzioso tra imprese e Consorzio commissariato si avvicina sempre di più alle aule dei Tribunali. Da una parte le richieste di risarcimento presentate dalla nuova gestione del Consorzio dopo lo scandalo Mose. 27 milioni di euro accantonati, opere contestate, lavori che non risultano conclusi a regola d’arte.
Dall'altra, le richieste delle imprese, in particolare le venete del Covela Mantovani, Astaldi e Itinera, con i consorzio Italvenezia e San Marco, di avere nuovi lavori. Il fatto nuovo, che rompe un equilibrio già precario e una trattativa che era in corso da mesi, è una raccomandata inviata il 26 gennaio scorso ai tre commissari del Consorzio, Luigi Magistro, Francesco Ossola e Giuseppe Fiengo, firmata dal presidente del Covela e titolare della Mantovani Romeo Chiarotto. Più che una lettera, una vera diffida, con una intimazione ai commissari a dar corso all’attribuzione dei lavori nel rispetto degli obblighi derivanti dallo Statuto e dalle regole consortili. 192 milioni di euro che secondo le imprese dovrebbero essere affidati direttamente a loro. Proprio il meccanismo che era finito sotto la lente dei magistrati e della Guardia di Finanza, quando nel giugno del 2014 era esploso lo scandalo del Mose. Indagini sul «nero» e sui milioni di euro messi da parte dal Consorzio e dal suo presidente Giovanni Mazzacurati per pagare mezza città. Ma adesso le imprese tornano alla carica.
E citano la legge del 1984, lo statuto del Consorzio. E addirittura la delibera della Comunità europea del 22 settembre 2002. Allora era stata archiviata la procedura di infrazione contro l’Italia, prescrivendo una quota di lavori che sarebbero dovuti andare a gara, per circa 800 milioni di euro. In realtà i lavori messi a gara furono meno della metà, anche questo oggetto di indagine della Finanza sulla società Comar, poi commissariata.
Ma per le imprese del Mose «l’Unione europea ha definitivamente escluso che si potesse ricorrere a imprese terze, se non per il subappalto di opere altamente specialistiche per le quali non esistessero i requisiti tra le imprese consorziate».
Il monopolio secondo le imprese è garanzia di responsabilità dell’opera.
Un messaggio chiaro. Che intende ribadire la volontà di ricevere nuovi lavori senza gara d’appalto. Una strada che i commissari, scrive l’anziano titolare del gruppo Mantovani, «hanno intrapreso contra legem». «Situazione inaccettabile, illegittima, illecita e gravemente lesiva delle imprese», scrive Chiarotto. Che ricorda come Mantovani abbia «mantenuto gli impegni contrattuali ultimando la schiera di Treporti». Un atto di guerra che avrà presto conseguenze. Sul tappeto ci sono il bilancio 2017 del Consorzio e la soluzione delle tante criticità emerse negli ultimi mesi, a cominciare dalla corrosione delle cerniere e dalla necessità di una manutenzione continua del sistema per i danni prodotti da sabbia e detriti.
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