Mose, muove la Corte dei conti nel mirino i beni di Mazzacurati
La Procura della Corte dei conti è convinta di potercela fare: recuperare 21 milioni e 750 mila euro finiti nel pozzo nero delle tangenti del Mose pagate con soldi pubblici.
I magistrati contabili intendono metterli in conto all’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, signore assoluto delle mazzette, sinora protetto dalle conseguenze dei suoi raggiri dalla demenza senile che l’ha colpito negli ultimi anni rendendolo penalmente non imputabile, quando - dopo aver raccontato ai magistrati veneziani tutto quel che sapeva, coinvolgendo imprese, politici e alti dirigenti pubblici - si è riparato lontano, nella sua villa californiana.
Ma recuperare alle casse dello Stato i soldi pubblici gettati in tangenti e regalie è altra questione, rispetto alle condanne penali: ci sono i beni privati sui quali rivalersi. Così il procuratore della Corte dei Conti Paolo Evangelista e il vice procuratore generale Alberto Mingarelli sono determinati a non lasciare nulla di intentato, citando per danni erariali lo stesso Mazzacurati e la moglie Rosangela Taddei, nominata suo tutore legale. In solido, con il vice presidente di allora A. M. e con il loro datore di lavoro, quel Consorzio Venezia Nuova che dopo la bufera delle tangenti ha completamente cambiato pelle ed è stato commissariato dall’Autorità Anticorruzione.
Per la Procura contabile, però, poco importa, seguendo la strada tracciata dalla Procura penale, che ha trascinato a giudizio i vertici attuali delle aziende coinvolti nei lavori di salvaguardia perché rispondano per non essersi accorti dei maneggi dei loro manager d’allora: sovraffatturazioni pagate carissime dallo Stato, con soldi pubblici di tutti i cittadini. Il 50 per cento di tutti gli importi fatturati dalle imprese al lavoro su Mose&Co. - ha chiarito la Guardia di finanza - veniva restituito in contanti al Cvn di Mazzacurati, insieme al 6-7 per cento dell’ammontare dei lavori di posa in opera.
Ieri, a palazzo dei Dieci Savi, era in programma la prima udienza davanti alla Corte presieduta da Carlo Greco, che ha visto la costituzione a giudizio dei legali del Consorzio e di A. M., da parte loro ben decisi a non restare con il cerino in mano e determinati difendersi per non pagare loro i fondi neri gestiti per anni da Mazzacurati: 21,750 milioni - contesta la Procura contabile - pari alle tangenti contestate all’ex presidente della Regione Giancarlo Galan, all’ex assessore Renato Chisso, al consigliere della stessa Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, all’ex ministro Altero Matteoli (recentemente scomparso), agli ex presidenti del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva, all’ex generale della Gdf Spaziante e al braccio desto dell’allora ministro Temonti, Marco Milanese.
Processo aperto e subito rinviato a giugno. Le Poste americane ci hanno messo del loro, perdendo la prima notifica dell’atto di citazione. La seconda è invece andata a buon fine, consegnata nella villa di La Jolla della famiglia Mazzacurati-Taddei: per legge devono però passare almeno 150 giorni dalla notifica, per permettere all’imputato - che non si è ancora costituito e chissà se mai lo farà - di organizzare la propria difesa. Così, ieri, il processo contabile si è aperto ed è stato subito rinviato a fine giugno, in una data che sarà stabilita a giorni dal presidente Greco.
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