Muore d’epatite dopo il trapianto
Sottoposto nel settembre 2008 a trapianto di fegato, nel reparto di Chirurgia epato-biliare dell’ospedale di Padova, un paziente cinquantenne è morto in seguito a un’epatite di tipo C recidiva che avrebbe provocato, pochi mesi più tardi, il decesso. Su esposto dei familiari del paziente, la Procura ha avviato un’inchiesta, per il momento senza indagati, ordinando una perizia

L'ospedale di Padova al centro delle polemiche
PADOVA.
E’ in dirittura d’arrivo l’inchiesta del pm Renza Cescon sul caso del paziente cinquantaduenne casertano di Maddaloni sottoposto nel settembre 2008 a trapianto di fegato in Chirurgia epato-biliare dell’ospedale di Padova. Ma dopo una biopsia epatica di controllo, un sanguinamento avrebbe prodotto l'insorgere di epatite C recidiva con conseguente decesso avvenuto all'ospedale di Caserta a febbraio 2009 per insufficienza respiratoria.
I risultati della consulenza tecnica, affidati dal magistrato al professor Adriano Tagliabrace, medico legale dell’Università di Ancona, e al professor Andrea Risaliti, direttore del centro trapianti di Ancona, hanno rilevato che il «sanguinamento rientra negli effetti collaterali della biopsia epatica». Con tutti i rischi che ne conseguono. Una complicanza che va «dallo 0,20 all’1,80 per cento dei casi» e quindi contemplata in letteratura clinica. Nell’inchiesta non figurano per il momento indagati, a riprova della complessità e delicatezza del caso in esame.
La vittima si era sottoposta al trapianto di fegato poiché affetta da carcinoma. La scelta era caduta sul policlinico di Padova, all’avanguardia in questo genere d’interventi ad altissimo rischio e che richiedono trasfusioni massicce di sangue. Essendo l’uomo affetto da carcinoma epatico, ogni altra soluzione alternativa al trapianto sarebbe comunque risultata inutile. Tanto valeva, allora, tentare quest’ultima chance.
I fatti.
Il paziente va sotto i ferri la mattina del 17 settembre 2008. Tutto ok. Ma quando torna a Padova per i successivi controlli ambulatoriali, si scopre che ha i valori delle transaminasi alti. E il 9 febbraio 2009 si sottopone a biopsia epatica per verificare se la causa delle transaminasi elevate sia imputabile o meno ad una recidiva di epatite C. E’ in tale contesto che il fegato del paziente ha sanguinamento. Il trapiantato viene comunque dimesso. Ma tornato a casa, in quel di Maddaloni, comincia ad avvertire sensazioni strane. Il 13 febbraio va in crisi respiratoria. Condotto al pronto soccorso dell’ospedale di Caserta, viene ricoverato in gravi condizioni.
Muore il 24 febbraio.
A quel punto i familiari dello scomparso inviano un esposto alla Procura di Padova perché ravvisi eventuali condotte omissive o colpose da parte dei sanitari che hanno a vario titolo eseguito manovre sia diagnostiche che chirurgiche sul paziente. L’inchiesta viene coordinata dal pm Cescon che affida il caso ai due consulenti di Ancona, noti a livello nazionale. La loro conclusione è spiazzante: simili complicanze, pur se con percentuali irrisorie, possono accadere.
Adesso la decisione definitiva, se archiviare l’inchiesta o meno, spetta al magistrato requirente. Una valutazione dell’accaduto di non facile soluzione, vista anche la complessità dell’intervento eseguito e dello stesso quadro clinico del paziente. Del resto, gli stessi consulenti d’accusa sono arrivati ad una conclusione univoca attraverso una scrupolosa e attenta disamina dei fatti, non soltanto sotto il profilo deontologico ma anche cronologico.
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Questo il concetto-chiave del loro pensiero: il trapianto di fegato può indubbiamente salvare la vita di un paziente con epatocarcinoma. Può però verificarsi recidiva di malattia, rigetto, complicazioni emo-coagulative, complicanze infettive e problematiche legate alle manovre diagnostiche e di controllo. Anche se la biopsia epatica può essere stata la causa finale della morte, essa andava comunque eseguita perché rientra tra i doverosi controlli post-trapianto. La parola al pm.
Argomenti:sanità
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