Murano riaccende qualche fornace: l'incognita lavoro sull'isola del vetro

MURANO (VENEZIA). Sono le prime luci dell’alba quando il maestro Simone Cenedese, 47 anni e una tradizione di famiglia alle spalle, entra nella sua fornace riaccesa da poco più di una settimana in fondamenta dei Vetrai. Ripartono gli ordinativi dall’estero, primi segnali di rinascita e non c’è tempo da perdere. Non più. Tutt’intorno, un cimitero di vetrerie chiuse e saracinesche abbassate.
Una di queste appartiene ad Aldo Boscolo, giovane papà trentenne. Senza turisti, ha abbandonato la produzione in proprio e di prima mattina si sveglia per andare in officina. Si è reinventato meccanico. Il commercio è fermo, c’è una famiglia a cui badare e le spese a fine mese da pagare.
Anche Sara ha perso il posto nel 2019 e da allora non ha più trovato lavoro. Da ottobre vive con i figli e il compagno, ora disoccupato, nelle case popolari alle Conterie. Da poco inaugurate e con un cantiere ancora aperto, sono senza connessione internet. E per la didattica a distanza bisogna arrangiarsi in qualche modo.

Murano riaccende i suoi forni, tizzoni ardenti sotto una coltre di polvere e desolazione. Il Covid ha pestato forte anche qui. Eppure l’isola resta viva, nonostante tutto. Il vetro è il filo rosso che tiene insieme tutto. Il turismo, scomparso, è la salvezza di tante attività legate al commercio e ora quasi completamente chiuse. Restano invece aperte quelle a disposizione dei residenti. Il tessuto sociale c’è e resiste.
Lungo le calli, qualche mamma con il passeggino e gli anziani di ritorno dalla spesa. Oggi per più di quattromila anime restano aperti due supermercati, un fruttivendolo, sei tabaccherie, un negozio di alimentari, una macelleria, due ristoranti per l’asporto, due farmacie. Anche l’età media, in controtendenza rispetto alle altre isole, negli ultimi anni si è abbassata.
Artigiani, coppie di giovani, “foresti” che fuggono dalla calca: sono in tanti a scegliere Murano per mettere su famiglia, o ci si trasferiscono da Venezia. Merito di un mercato immobiliare con prezzi più accessibili, di scuole e palestre per i più piccoli. E di un turismo che non soffoca l’isola, a differenza del centro storico. Sulle 150 aziende che gravitano intorno al mondo del vetro, con circa 800 addetti (erano il doppio negli anni ’90), almeno una decina ha iniziato a dare i primi segnali di vita.
Chi prima e chi dopo, da gennaio decine di maestri vetrai e di operai sono tornati a lavoro: Gambaro, Venini, Barovier. Nomi che hanno segnato la storia dell’isola. «Un segnale al mondo che Murano è viva», il messaggio di Cenedese. «La situazione è in continua evoluzione, non sappiamo cosa succederà da qui alle prossime settimane». «È questo il tempo per gettare le basi di una Murano futura», aggiunge Luciano Gambaro (Consorzio Promovetro).
Certo, l’impatto della pandemia c’è stato, eccome. Le aziende a conduzione familiare hanno perso anche il 100% e fino a pochi mesi fa l’85% dei dipendenti era in cassa integrazione, secondo le stime di Confartigianato. Le chanches di ripresa, comunque, non mancano. E arrivano anche dai bandi del Ministero per finanziamenti agevolati nell’area di crisi di Venezia e dalle semplificazioni burocratiche legate alla Zls (Zona logistica semplificata).
Di botteghe lungo fondamenta dei Vetrai, centro turistico dell’isola, se ne contano a decine. Una sola, però, è aperta: la vetreria alla Ca’ d’Oro.
«Abbiamo avuto due clienti negli ultimi 14 giorni», rivela il titolare, Luca Zanvettori, «e intanto, tra affitto e riscaldamento, le spese continuano a correre. Restiamo aperti per fare qualche lavoro di manutenzione. E perché nessuno possa mai dire che non ci abbiamo provato, a lavorare».
Non va meglio per osterie e ristoranti. Insieme alla trattoria Ai Vetrai, nelle ultime settimane è rimasta aperta anche l’osteria Al Duomo, in fondamenta Navagero, centro residenziale dell’isola. Tra pizze e club sandwich per il weekend, Massimiliano Zecchin accende la cucina dal venerdì alla domenica. Di 20 dipendenti, in un anno ne sono rimasti 14, di cui 12 in cassa integrazione. La sua sala da pranzo, addobbata per Natale nonostante la chiusura imposta dai decreti, ha ancora i pannelli di plexiglas a separare i tavoli vuoti. «Ma per me restare aperto è un modo per ringraziare i residenti e offrire un servizio», spiega.
Dello stesso avviso Vittorio Valmarana, tabaccaio affacciato sul duomo di San Donato. «Viviamo in una bolla, gli affari sono in calo: ma io lavoro all’80% con i residenti, il resto con il turismo grazie ai biglietti e alle bevande», fa due conti, «e poi fortunatamente i proprietari dell’immobile ci sono venuti incontro con l’affitto».
Linfa fresca per l’isola è arrivata dall’ultimo bando per le case di edilizia residenziale pubblica alle Conterie. Complesso enorme e in fase di ristrutturazione e su cui sono stati investiti oltre 4 milioni di euro per le spese di urbanizzazione, da ottobre ci vive una quarantina di famiglie con canoni abbordabili. Nuclei giovani, nella maggior parte dei casi con figli piccoli.
Le gru e gli operai sono ancora nel pieno del lavoro, mancano gli appartamenti in social housing. Ma il vero problema è la mancanza di linea telefonica. «I miei figli si collegano all’hotspot del telefono per le lezioni a distanza», spiega Sara, neo inquilina, «se devo uscire, lascio a casa il telefono così possono connettersi. Ora dovrà essere rifatta la pavimentazione per fare i collegamenti, un paradosso».
In tanti lamentano pochi collegamenti per Venezia e la terraferma. Soprattutto gli operai di cantieri e fornaci, che arrivano all’alba. E poi lasciano l’isola, che a sera si abbandona al silenzio. Le poche vetrine accese si spengono, le luci degli appartamenti illuminano i campi deserti. La vita delle famiglie si accende dentro casa. In attesa di domani. —
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