Ndrangheta, fatture false e riciclaggio: altre aziende nel mirino della procura

VENEZIA. Una montagna di documenti che aprirà nuove piste investigative. E poi l’indagine che continua su altre aziende e non si è certo fermata con l’operazione di martedì. Le 33 misure cautelari eseguite due giorni fa sono uno step fondamentale dell’indagine che ha smantellato la prima cosca veneta della ’ndrangheta.
Inevitabile che altre aziende siano finite nel mirino degli investigatori dei carabinieri di Padova e della Guardia di Finanza di Venezia, coordinati dal sostituto procuratore Paola Tonini. Infatti già il materiale raccolto dagli investigatori per incastrare gli appartenenti alla cosca aveva aperto nuovi filoni.
Anche perché i fratelli Sergio e Michele Bolognino, capiclan indiscussi, hanno avuto contatti con diversi imprenditori che non sono finiti in questa fase dell’inchiesta. Da capire se anche queste società sono entrate nell’orbita della ’ndrangheta.
Se altre società erano diventate delle cartiere per la produzione di fatture false, lo si scoprirà sicuramente dal materiale sequestrato martedì durante le perquisizione seguite all’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelari.
Documenti cartacei ma anche molti supporti informatici trovati nelle abitazioni degli indagati. Il lavoro per la Guardia di Finanza non sarà poca cosa. Un discorso a parte lo meritano i beni sequestrati per un valore di 20 milioni di euro. Si tratta dell’equivalente del profitto derivati dall’attività di riciclaggio e dei reati fiscali collegati.
Si tratta di terreni, abitazioni singole e appartamenti, conti correnti e autovetture di lusso. Su tutto questo c’è la proposta di confisca. Ieri in tanto i finanzieri si sono presentati alla Bcc di via Mestrina dove ci sarebbero alcuni conti riconducibile alle società di F. S., l’amministratore di Segeco e Segea finito in carcere per associazione a delinquere finalizzata a reati fiscali.
lovo in silenzio
Sono iniziati gli interrogatori di garanzia che, almeno per quanto riguarda i 13 indagati finiti in carcere, saranno tutti per rogatoria. Agli arrestati è contestata l’aggravante mafiosa che prevede la detenzione in regime di alta sicurezza.
Il primo a comparire davanti ad un gip (in questo caso di Civitavecchia) è stato l’imprenditore Leonardo Lovo, 48 anni, originario di Camposampiero, formalmente residente nel Veneziano a Campagna Lupia, di fatto da un paio d’anni trasferito a Biancade, nel Trevigiano. Difeso dall’avvocato Fabio Crea, Lovo ha scelto in questa fase di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Per l’imprenditore le manette sono scattate non martedì all’alba, come per il resto dei destinatari di misura, ma nella mattinata di lunedì. Era in partenza per Londra, dove lavora, e aveva già i bagagli pronti. Le forze dell’ordine lo hanno fermato prima che volasse nel Regno Unito, evitando così procedure burocratiche per l’arresto europeo
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