'Ndrangheta in Veneto: ecco chi sono gli imprenditori minacciati

In manette Mangone legato ai Bolognino della cosca Grande Aracri. Un imprenditore doveva restituire 300 mila euro con un tasso del 20%
PADOVA. Nel Veneto “Baviera” d’Italia era possibile obbligare un imprenditore a vendere un negozio senza ricevere nemmeno un euro in cambio e si poteva costringere un impresario a non incassare 80 mila euro di assegni per lavori effettivamente svolti. Nel Veneto dell’economia circolare, violenza e intimidazione facevano ancora la differenza.
 
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Al punto da stravolgere le normali regole del mercato o da drogare un atto notarile, come è effettivamente successo in uno studio di Saonara con la conseguente iscrizione nel registro degli indagati del notaio stesso.
 
L’inchiesta nata in seguito al pestaggio di Stefano Venturin e della compagna Maria Giovanna Santolini, entrambi originari di Treviso, titolari della Gs Scaffalature di Galliera Veneta (il 2 aprile 2013), offre l’ennesimo spaccato di quello che la criminalità organizzata calabrese è riuscita a fare nella terra delle partite Iva
 
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 «Siamo tutta una famiglia. Stai attento che va a finire male», bastavano frasi come questa, unite a spintoni, strattoni, sberle e pugni per scardinare ogni regola civile.
 
Un arresto. Lo snodo di questo sistema di violenza, stavolta, era Antonio Genesio Mangone, 54 anni, calabrese con residenza a Finale Emilia (Modena), legato ai fratelli Sergio e Michele Bolognino, a loro volta esponenti della cosca Grande Aracri.
 
I carabinieri del Nucleo investigativo di Padova, coordinati dalla Dda di Venezia, l’hanno arrestato ieri con l’accusa di usura e estorsione aggravata dal metodo mafioso.
 
Sotto inchiesta è finito un notaio. All’alba sono stati perquisiti anche una decina di impresari che si rifiutavano di collaborare. E lo facevano per paura. «Speriamo di aver abbattuto il muro di omertà. Venite a denunciare», è l’appello del comandante provinciale dei carabinieri di Padova Luigi Manzini. 
 
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le estorsioni Il caso più clamoroso tra quelli scoperti dai militari dell’Arma e dai colleghi della Finanza di Mirano è la vendita di un negozio a Sambruson di Dolo senza che venissero corrisposti i 75 mila euro di effettivo valore. Il proprietario dell’immobile, Mario Borella, ex candidato sindaco di Camponogara (Venezia), è stato intimorito al punto da accettarne la cessione a costo zero, con tanto di atto firmato nello studio notarile Maculan di Saonara.
 
Il tutto con la connivenza, sostengono gli investigatori, del notaio in questione che viene accusato di essere un ingranaggio di questo meccanismo estorsivo. Altra vittima è Adrian Arcana, piccolo imprenditore titolare dell’omonima ditta con sede a Rubano.
 
Sarà costretto - secondo la Procura - a rifiutare due assegni da 40 mila euro ciascuno, cedendo alle pressioni di Mangone e del suo sodale Adriano Biasion, l’impresario divenuto aguzzino per paura.
 
Poi c’è Leonardo Lovo, ingolosito con gli affari al sud, ridotto sul lastrico e costretto ad affidarsi agli usurai che lo taglieggiano con un tasso d’interesse del 20%. Al culmine della spirale di paura consegnerà 4.500 euro a Mangone, per quella che doveva essere la prima tranche di una lunga serie. Fino al momento in cui i carabinieri scrivono la parola fine. 
 
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«Io sono calabrese, io non vado per vie legali. La tua fortuna è che sono venuto a mangiare a casa tua e ho visto la tua famiglia».
 
L’avvertimento di Antonio Genesio Mangone è chiaro quando al telefono parla con Adrian Arcana, titolare di un’impresa edile di Rubano. I due entrano in contatto grazie a Adriano Biasion, che procacciava lavori per l’impresa del piccolo imprenditore romeno. 
 
A un certo punto gli assegnano un lavoro dell’importo di 400 mila euro a Noventa Padovana, grazie al sub appalto della ditta Geotecno di Tonino Crose.
 
Arcana è dubbioso, teme di non riuscire a far fronte ai costi del cantiere ma viene rasscurato. Grazie all’intervento di Biasion, come viene indicato nel dispositivo del gip, ottiene un’apertura bancaria da una filiale di Padova di Veneto Banca.
 
A un certo punto Crose, in virtù del sub appalto e dei lavori effettivamente svolti nel cantiere, lo paga con due assegni da 43 mila e 42.923 euro. Ma Mangone e Biasion, nel frattempo, hanno di fatto preso le redini dell’azienda di Crose e quindi entrano a gamba tesa nella transazione di denaro.
 
Mangone strattona, intimidisce e pizzica Arcana: «Siamo una famiglia, loro mi proteggono, mi danno tutto quello che è giusto ma io devo fare quello che dicono loro sennò ho finito di lavorare perché sul mercato del lavoro mi hanno inserito loro.
 
Noi siamo quelli che tagliamo le gambe e che ti mandiamo in paese. Guarda che tu hai famiglia. L’assegno devi darcelo a noi che ci sistemiamo noi con Tonino Crose».
 
Leonardo Lovo, 46 anni di Roncade. E' coinvolto nel precedente troncone d’inchiesta con per un sistema di false fatture, figura ora come vittima della ’ndrangheta. L’uomo è socio della Edil Gamba Srl quando un tale Giuseppe Di Rosa lo convince ad avviare un’attività imprenditoriale al Sud, nel settore edilizio. 
 
Lovo accetta ma presto si rende conto che quell’attività non genera guadagni, bensì ingenti predite. Finirà nella spirale senza uscita dell’usura, con 300 mila euro da restituire a un tasso del 20% mensile.
 
A un certo punto si inserisce nella trattativa Mangone, che inizia a pretendere somme a titolo di interessi usurari per Di Rosa. Lovo è terrorizzato. In un secondo momento ammetterà di aver finto di non sapere che faccia avesse Mangone durante un riconoscimento fotografico in caserma.
 
Sotto minaccia consegnerà 4.500 euro, parte in denaro, parte con un orologio Franck Mulle e poi con alcuni gioielli tempestati di diamanti.
 
L’intimidazione raggiunge il culmine quando Mangone finge di travolgerlo in auto. Allora Lovo che fa? Su consiglio di Biasion si rivolge ai Bolognino per chiedere protezione, ignorando che erano tutti in contatto. «Siamo una famiglia, stai sereno, stai tranquillo» gli dicono.
 
«Tu lavora e lavoriamo, paghi le tue cose e andiamo avanti. Non ti preoccupare, è una cosa che gestiamo noi. Abbiamo fatto la galera insieme». A un certo punto Lovo, esasperato, decide di rendersi irreperibile cambiando anche numero di telefono. Questo non servirà a farlo uscire dalla situazione, perché Mangone inizia a perseguitare e minacciare il socio. 
 
La luce in fondo al tunnel sono le dichiarazioni alla Finanza, l’inizio del mosaico che si compone.
 
 

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